Libri
La profezia di Navalny: “Morirò in carcere”. Memorie di una terribile prigionia senza ritorno
e memorie del leader dell’opposizione russa, scritto durante la detenzione, rivelano una triste previsione di morte e il coraggio di non abbandonare mai la lotta contro il regime di Vladimir Putin. L’uscita globale del libro è prevista per il 22 ottobre 2024.

Il libro di memorie di Alexei Navalny, intitolato Patriot, rappresenta una testimonianza preziosa della lotta e della sofferenza di uno degli oppositori più fieri del regime di Vladimir Putin. Gli estratti delle sue memorie, che verranno pubblicati in anteprima sul New Yorker il prossimo 21 ottobre, rivelano una realtà amara e disperata: la consapevolezza di morire in carcere, lontano dalla famiglia e dai propri sostenitori.
Le memorie di Navalny si inseriscono in un contesto di isolamento e repressione brutale. Il libro è il risultato di anni di riflessioni e sofferenze, scritte mentre sconta una lunga pena detentiva per accuse ampiamente considerate politiche. Nelle sue pagine, il leader dell’opposizione russa racconta la sua vita, dalla giovinezza fino all’attivismo che lo ha reso celebre, soffermandosi sulle dinamiche del potere in Russia e sul rapporto conflittuale con il regime di Putin.
La profezia del carcere
Uno dei passaggi più drammatici del libro è rappresentato dalla “profezia” che Navalny scrive nel 2022: “Trascorrerò il resto della mia vita in prigione e morirò qui. Non ci sarà nessuno a cui dire addio…”. È una constatazione amara, che emerge dopo mesi di detenzione in condizioni disumane. Nelle sue parole si percepisce non solo la sofferenza fisica e mentale, ma anche la lucidità di un uomo consapevole del proprio destino, che accetta il sacrificio come parte di una battaglia più grande.
La routine del carcere e la resistenza morale
Tra i tanti episodi raccontati da Navalny, emergono dettagli sulla sua vita quotidiana in carcere. Le lunghe ore di lavoro alla macchina da cucire, seguite da periodi di “attività disciplinare” in cui è costretto a sedersi per ore sotto un ritratto di Putin, offrono uno spaccato agghiacciante della repressione a cui è sottoposto. Tuttavia, accanto ai momenti di sconforto e di disperazione, Navalny trova la forza per incitare il popolo russo alla resistenza: “L’unica cosa di cui dovremmo aver paura è che consegneremo la nostra patria al saccheggio di bugiardi e ladri”.
Nonostante il pesante fardello, Navalny non perde mai il suo spirito battagliero. Nelle sue memorie alterna momenti di disperazione a battute ironiche, spesso rivolte ai tentativi falliti di assassinarlo o alle assurde dinamiche della vita carceraria. Questa combinazione di umorismo e tragedia rende il racconto ancora più potente e toccante.
Il ritorno in Russia e la lotta per la verità
Uno degli interrogativi più frequenti posti a Navalny riguarda il motivo del suo ritorno in Russia, pur consapevole dei rischi che correva. Nelle sue memorie, l’attivista risponde senza esitazioni: “Non voglio rinunciare al mio Paese o tradirlo. Se le tue convinzioni significano qualcosa, devi essere pronto a difenderle e fare sacrifici se necessario”. È questa la cifra morale che permea tutto il libro, un impegno profondo per la verità e la giustizia, nonostante le conseguenze personali devastanti.
La pubblicazione globale di Patriot
Il libro Patriot, edito da Knopf, uscirà in contemporanea mondiale il 22 ottobre 2024, con una prima tiratura di 500.000 copie negli Stati Uniti. In Italia sarà pubblicato da Mondadori, e si prevede che diventi rapidamente un testo di riferimento per comprendere non solo la lotta di Navalny, ma anche il clima politico e sociale della Russia contemporanea.
Le memorie di Navalny sono destinate a scuotere le coscienze e a ricordare al mondo il prezzo che alcuni sono disposti a pagare per difendere i propri ideali.
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Libri
Daniela Piazza torna con un nuovo romanzo storico: avventura, rivalità e mistero in “Una crociata perduta”
Si intitola “Una crociata perduta” il nuovo romanzo di Daniela Piazza, ultimo atto della serie “Fieschi e Doria: saga di una rivalità”. Un intreccio di segreti, tesori leggendari, tradimenti e legami familiari che si consuma tra rovine antiche, cacce spietate e giuramenti pericolosi.

Un tesoro leggendario. Un simbolo misterioso inciso tra le rovine d’Egitto. Una rivalità che si trasforma in ossessione. Daniela Piazza, voce autorevole e raffinata del romanzo storico italiano, torna in libreria con Una crociata perduta, nuovo e ultimo capitolo della saga dedicata a Francesco Fieschi e Matelda, pubblicato da AltreVoci.
Ancora una volta la scrittrice ligure, docente di Storia dell’Arte e appassionata di viaggi, musica antica e narrazione storica, porta il lettore in un viaggio mozzafiato tra epoche, luoghi e passioni. Dopo il successo de Il bastardo e La brigante, la serie si chiude con un romanzo che miscela con sapienza suspense, ambientazioni evocative e un impianto narrativo ricco di tensione emotiva.
La trama si apre in Egitto, dove Francesco Fieschi e i suoi compagni si ritrovano braccati dai nemici, rifugiati tra rovine egizie devastate dal tempo. Ma proprio in quel luogo dimenticato, un simbolo misterioso riaccende in Francesco la convinzione che il leggendario tesoro delle Crociate possa davvero esistere.
Inizia così una caccia implacabile, dove il pericolo più grande non è nascosto tra le dune, ma si annida nel cuore stesso della rivalità: Marco Doria, l’uomo che chiama Francesco “fratello”, ma che lo odia con una ferocia viscerale, è deciso a mettergli i bastoni tra le ruote. E sarà una guerra di nervi, colpi bassi e verità inconfessabili.
Intanto, in Francia, si muove un altro tassello della vicenda: Pierre, re dei ladruncoli, insegue un bambino speciale, Martin. Non è solo un fuggiasco: è un’occasione di riscatto, un’ultima speranza. Ma a difenderlo c’è Matelda, pronta a tutto pur di proteggerlo, anche a costo della vita.
Con Una crociata perduta, Daniela Piazza firma un romanzo avvincente, capace di fondere epica medievale e tensione narrativa, amicizie tradite e famiglie scelte, in un crescendo che ha il ritmo di una fuga e il respiro di un sogno infranto. Un libro che conclude degnamente una delle saghe storiche più originali e coinvolgenti del panorama italiano contemporaneo.
Per i fan di lunga data e per chi ama la storia raccontata con passione, è l’appuntamento da non perdere.
Libri
Perché leggiamo sempre meno? E perché dovremmo preoccuparcene
In Italia un adulto su due non apre nemmeno un libro in un anno. E i dati peggiorano ogni anno. Ma leggere non è solo un passatempo: è un allenamento alla complessità, alla libertà, alla resistenza. Senza libri, perdiamo molto più che storie.

Le statistiche non mentono: nel 2024 solo il 38% degli italiani ha letto almeno un libro non scolastico nei dodici mesi precedenti. Un crollo silenzioso, che non fa rumore ma cambia tutto. Perché leggere non è solo un passatempo colto: è un atto politico, sociale, persino fisico. È una palestra per la mente e per la cittadinanza. E se i lettori calano, calano anche le possibilità di capire il mondo.
Gli editori lo sanno, e tremano. Le vendite si sono polarizzate: pochi titoli vendono tanto, tantissimi vendono pochissimo. I giovani leggono meno, ma anche i genitori. Nelle case scompaiono le librerie. Si legge sui social, certo, ma non è la stessa cosa. I libri chiedono tempo, attenzione, sforzo: tre parole sempre più rare.
“Un Paese che legge poco è un Paese che pensa poco”, dice uno scrittore. Ma è anche un Paese che rischia di farsi manipolare più facilmente, che si affida all’impressione e non alla riflessione, che perde la memoria del passato e la capacità di immaginare il futuro.
Il problema non è solo cosa si legge, ma che cosa si perde non leggendo. Empatia, vocabolario, spirito critico, capacità di concentrazione, apertura mentale. I benefici della lettura sono comprovati da decine di studi. Ma continuano a essere sottovalutati.
Ci sono, per fortuna, piccole resistenze. Librerie indipendenti che fanno animazione culturale. Festival che uniscono scrittori e lettori. Bookclub che nascono online e si trasformano in comunità vere. Ma sono isole, non arcipelaghi.
E allora la domanda è semplice: vogliamo un futuro senza storie? Senza parole? Senza pensiero complesso? Perché è quello che ci aspetta, se rinunciamo ai libri.
Leggere è un piacere. Ma oggi è anche un dovere. Verso noi stessi. E verso ciò che vorremmo restasse umano.
Libri
Le dieci suore morte in un monastero: quando Camilleri scoprì un segreto dei Gattopardi
Andrea Camilleri, nel suo romanzo storico “Le pecore e il pastore”, racconta l’inquietante sacrificio di dieci giovani monache benedettine nel monastero di Palma di Montechiaro. Una storia vera, rimasta sepolta nella clausura e svelata dallo scrittore grazie a una nota a pie’ pagina. Una vicenda che coinvolge il Vescovo Peruzzo, la mistica Suor Maria Crocifissa e l’antica famiglia Tomasi di Lampedusa.

Il 6 settembre 2025 Andrea Camilleri avrebbe compiuto cento anni. Saranno innumerevoli le iniziative che nei prossimi mesi celebreranno il genio dello scrittore siciliano: premi letterari, mostre, spettacoli, letture e convegni. Ma tra le tante opere e scoperte del maestro, ce n’è una che sfugge ai riflettori e che merita di essere ricordata: la storia delle dieci suore morte nel monastero di Palma di Montechiaro.
Camilleri amava i suoi romanzi storici più di ogni altro scritto. Li definiva il suo vero matrimonio, mentre Montalbano era l’amante ingombrante, quella che ti ruba la scena. Proprio in uno di quei romanzi, “Le pecore e il pastore”, Camilleri ha ricostruito un fatto accaduto nel 1945 e rimasto avvolto nel silenzio per decenni: dieci giovani monache benedettine si sarebbero lasciate morire di fame e di sete in clausura per ottenere la salvezza del loro vescovo, ferito in un attentato.
Tutto parte da una nota a pie’ pagina trovata in un libro di Enzo Di Natali, “L’attentato contro il Vescovo dei contadini”. Una lettera del 1956, firmata da Suor Enrichetta Fanara, abadessa del monastero del Santissimo Rosario di Palma di Montechiaro, racconta con tono quasi casuale un sacrificio che ha dell’incredibile: «Quando V.E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvarlo. Il Signore accettò l’offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore».
Il vescovo in questione era Giovanni Battista Peruzzo, detto il “vescovo dei contadini”, un piemontese che si era schierato apertamente contro i latifondisti e per i diritti dei più poveri. L’9 luglio 1945 subì un attentato a Santo Stefano Quisquina. Ferito da due colpi di fucile, fu operato d’urgenza e sopravvisse. Nessuno, fino alla lettera della Fanara, sapeva che dietro quella sopravvivenza poteva celarsi un sacrificio mistico.
Il monastero era stato fondato nel Seicento dal cosiddetto “Duca Santo”, Giulio Tomasi di Lampedusa, antenato dello scrittore Giuseppe. Lì visse anche Suor Maria Crocifissa, mistica celebre per i suoi scritti e le lotte col Demonio, diventata figura ispiratrice della Beata Corbera nel Gattopardo. L’ambiente era carico di spiritualità estrema, eccessi mistici, fustigazioni, visioni. Ma nulla, nemmeno la celebre “lettera del Diavolo” attribuita alla suora, regge il confronto con la vicenda delle dieci monache.
Camilleri racconta che a confermare tutto fu un anziano confessore teatino, che però si rifiutò di aggiungere dettagli: «Posso parlarne solo con chi ha grandissima fede», avrebbe detto. Nessuno, fuori dalle mura del monastero, seppe nulla. Nessun documento, nessun registro, nessun nome. Solo quella lettera tardiva dell’abadessa, scritta undici anni dopo i fatti.
Camilleri si chiede perché aspettò così tanto. E azzarda un’ipotesi: le visite di Giuseppe Tomasi di Lampedusa al monastero nel 1955 la spinsero a raccontare di più. Il principe si commosse ascoltando le storie delle suore, forse quella reazione persuase la Fanara a rivelare il sacrificio delle dieci benedettine.
«Dieci pecore per un pastore», scrive Camilleri. Una formula crudele, ma perfettamente adatta al rigore di quella spiritualità. Un mistero che ci interroga ancora oggi, perché nessuna di loro chiese di fermarsi? Nessuna implorò pietà? O le altre, semplicemente, non vollero sentire?
Domande che restano senza risposta. Ma che fanno tremare, come solo la verità sa fare.
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