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Lifestyle

Pranzare al lido, cosa ordinare e cosa evitare in spiaggia

Mangiare al lido, o al mare, può essere un’esperienza piacevole se si scelgono gli alimenti giusti che offrono nutrimento senza appesantire troppo, e che sono anche facili da gestire in un ambiente all’aperto. Ecco alcuni suggerimenti su cosa mangiare e cosa evitare sott l’ombrellone.

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    Pranzare al lido è una delle gioie dell’estate, un momento in cui si può godere della brezza marina e del sole mentre si gusta un pasto all’aria aperta. Ma scegliere i cibi giusti è essenziale per garantire un’esperienza piacevole e salutare.

    Il cibo da spiaggia ideale dovrebbe essere leggero, nutriente e facile da gestire, evitando di appesantire o causare disagio sotto il caldo sole estivo. Optare per cibi che offrano l’energia necessaria per una giornata di relax e divertimento. Al contrario, è meglio evitare cibi fritti che possono causare disidratazione e cali di energia. Con la giusta scelta di alimenti, il pranzo al lido può diventare un momento di vero piacere, contribuendo al benessere e alla freschezza durante tutta la giornata in spiaggia.

    Piatti sì
    Insalate fresche: Insalate di verdure con aggiunta di proteine come pollo, tonno o legumi sono leggere e nutrienti.
    Frutta fresca: Anguria, melone, uva, e frutti di bosco sono rinfrescanti e idratanti.
    Panini integrali: Preparati con pane integrale e farciti con verdure, affettati magri, formaggio leggero o hummus.
    Snack salutari: Frutta secca, noci, barrette di cereali integrali, o yogurt greco.
    Piatti di mare: Pesce grigliato o insalate di mare sono scelte leggere e nutrienti.
    Bevande idratanti: Acqua, tè freddo non zuccherato, succhi di frutta naturali, e acqua di cocco per mantenere una buona idratazione.


    Piatti no
    Cibi fritti: Patatine fritte, anelli di calamari fritti, e altri cibi pesanti e oleosi possono essere difficili da digerire e possono causare sensazione di pesantezza.
    Cibi troppo salati: Snack salati come patatine e salatini possono aumentare la sete e contribuire alla disidratazione.
    Dolci e gelati ricchi di zuccheri: Possono dare un’immediata sensazione di freschezza, ma l’alto contenuto di zuccheri può portare a cali di energia e sete aumentata.
    Bevande gassate e alcoliche: Bibite zuccherate e bevande alcoliche possono contribuire alla disidratazione e non sono ideali per rimanere idratati al sole.
    Cibi pesanti e elaborati: Evitare piatti complessi e ricchi di salse che possono risultare troppo pesanti da digerire in un ambiente caldo.

    Consigli…
    Porzioni piccole: Mangiare porzioni più piccole e frequenti può aiutare a mantenere energia senza sentirsi appesantiti.
    Protezione dal sole: Cerca di consumare i pasti in aree ombreggiate per evitare colpi di calore e disidratazione.

      Moda

      Vestiremo alla “vegana”: giacche fatte di alghe, abiti vegetali

      Le esigenze ambientali modificano la produzione di materiali per confezionare gli abiti del futuro. Giacche fatti di alghe e capelli per rispettare l’ambiente. Ci aspetta una giacca tutta vegana.

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        Le esigenze ambientali modificano la produzione di materiali per confezionare gli abiti del futuro. Giacche fatti di alghe e capelli per rispettare l’ambiente. Ci aspetta una giacca tutta vegana.

        Il “vegan friendly” per ora è destinato ai consumatori più ricchi

        Da qualche anno l’industria della moda è alla ricerca di soluzioni per ridurre l’impatto sull’ambiente. Quasi una scelta obbligata, visto i cambiamenti climatici e di produzione di cui molte economie occidentali sono ormai consapevoli. Anche se una produzione vegana per ora resta limitata ad alcune frange di consumatori. I più ricchi, come sempre. Ma non è detto. Saremo disposti a pagare di più prodotti più ecologici pur di non inquinare il pianeta

        Scendono in campo le migliori menti creative

        E quale settore se non quello della moda ha nella creatività uno dei suoi elementi più trainanti? Siamo tutti consapevoli che l’industria del fashion ha un impatto per nulla trascurabile sull’ambiente. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), il mercato del fashion contribuisce a inquinare con percentuali tra il 2 e l’8% delle emissioni globali di gas. Non male. Il settore è anche responsabile del 9% delle microplastiche disperse negli oceani. E inoltre consuma circa 215mila miliardi di litri di acqua all’anno. Acqua per produrre cotone, lino e lana. Per non citare la quantità di pesticidi utilizzati. Fibre sintetiche come il poliestere e il nylon, realizzati con polimeri derivati del petrolio ad ogni ciclo di lavaggio rilasciano milioni di microplastiche. Che ci ritroviamo ovunque anche nel cibo quotidiano. Forse per questi motivi negli ultimi dieci anni sono nate numerose startup con l’obiettivo di realizzare materiali destinati al settore del fashion nuovi ed ecologici. Per esempio?

        La “resistenza” dei capelli utilizzati per gonne e pantaloni

        Zsofia Kollar, giovane designer ungherese trapiantato ad Amsterdam ha dato vita a Human Material Loop, con l’obiettivo di recuperare capelli umani. Lo fa setacciando parrucchieri e beauty center. Ma per farne cosa? Vestiti. Solo in Europa ogni anno vengano tagliati oltre 75 milioni di kg di capelli. In minima parte vengono utilizzati per realizzare parrucche, la maggior parte viene smaltita in discarica. Uno spreco vero e proprio. Che fare? Ci ha pensato Kollar che ha deciso di sfruttare le proprietà dei capelli umani come per esempio la loro resistenza simile all’acciaio. Una scelta vegana.

        Sul sito di Human Material Loop, viene proposto un esempio. Una folta ciocca di capelli lunghi, grazie alla cheratina, asse portante della loro robustezza e alla loro elasticità, potrebbe tenere sospesi in aria due elefanti adulti (circa 12 tonnellate). Ma non solo. L’assorbimento dei materiali oleosi rende i capelli utili per realizzare tessuti speciali. Come quelli usati per arginare le fuoriuscite di petrolio come è successo nel disastro della piattaforma Deepwater Horizon nel 2010. Il filato ricavato dai capelli umani, dopo un processo di pulizia e trattamento, avrebbe caratteristiche molto simili alla lana anche se per ora un po’ troppo costoso. Ma se il modello di business di Human Material Loop avrà successo, il suo obiettivo è quello di produrre nei prossimi dieci anni 550mila tonnellate di tessuto all’anno.

        Materiali per ora poco accessibili

        Uno dei numerosi biomateriali sviluppati negli ultimi anni è stato testato dal prestigioso marchio Hermes. Il brand ha fatto realizzare borse realizzate con filamenti dell’apparato vegetativo dei funghi. A produrre questo sostituto della pelle di animale è stata la startup MycoWorks, che ha realizzato un materiale molto simile alla pelle per aspetto e consistenza. Ma a base vegetale. Purtroppo i costi restano ancora abbastanza alti. La base di partenza per produrre una borsa supera i mille dollari. Così come 800 dollari costa un cappello prodotto con lo stesso sistema creato dallo stilista Nick Fouquet.

        E in Italia a che punto siamo?

        Tra le diverse PMI che si stanno cimentando a Catania dieci anni fa è nata la startup Orange Fiber specializzata nel produrre tessuti vegani ecosostenibili dagli scarti della lavorazione delle arance. Un lavoro d’equipe che ha consentito a Orange Fiber di intraprendere una collaborazione con Salvatore Ferragamo e con il brand di sartoria napoletana Marinella. In anni più recenti è nata Vegea. Azienda trentina che ha prodotto un tessuto vegetale utilizzando le vinacce, ovvero gli scarti dalla produzione vinicola. Una prospettiva interessante per il nostro Paese visto che siamo il secondo produttore di vino al mondo. Vegea, ha già prodotto tessuti per i marchi H&M, Stella McCartney e la casa automobilistica Bentley. Quest’ultima ha utilizzato questo tessuto a base di vinacce per rivestire gli interni di alcuni suoi modelli. Quella vegana è una scelta che paga.

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          Animali

          Anche i cani piangono? Cosa dicono gli esperti sul nostro amico quattrozampe

          Gli esperti ci spiegano che, sebbene i cani non piangano per esprimere sentimenti come noi, possono manifestare il loro malessere fisico o emotivo in altri modi. Scopriamo come riconoscere i segnali del loro dolore e cosa fare per aiutarli.

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            Noi amanti dei cani sappiamo perfettamente quante emozioni i loro magnifici occhi ci trasmettano ogni giorno. Basta uno sguardo reciproco e la magia di un rapporto che risale alla notte dei tempi si ripete quotidianamente davanti a noi. I cani sanno quando siamo tristi, sentono la nostra paura, la nostra gioia e sono capaci, con gesti semplici, di riempire le nostre vite. Ogni proprietario di un cane si è sentito dire almeno una volta che si umanizzano troppo i propri animali, ma è vero che i comportamenti dei cani domestici sono influenzati dalla convivenza con l’uomo, differenziandosi molto dai loro antenati selvaggi.

            La convivenza millenaria tra uomo e cane

            Il segreto di questo rapporto millenario è la convivenza e il beneficio reciproco. L’uomo ha bisogno del cane per il suo udito, la sua capacità di proteggere il territorio e di lavorare instancabilmente nei campi più svariati, dalla pastorizia alla medicina. Il cane, da parte sua, riceve amore, un rifugio, una casa e una vita piena. Questo connubio splendido e incredibile della natura ha fatto sì che i cani sviluppassero comportamenti unici.

            Le emozioni dei cani: piangono davvero?

            Gli esperti chiariscono che l’unico animale che esprime i propri sentimenti con il pianto è l’uomo. Anche altri animali, soprattutto i nostri parenti più stretti, i primati, esprimono dolore fisico, paura o malessere attraverso versi simili a guaiti o urla. La lacrima di dolore, però, è una prerogativa della nostra specie. Le lacrime umane esprimono emozioni profonde e creano connessioni con gli altri, una caratteristica che potrebbe essere dovuta alla nostra natura sociale.

            Come riconoscere il dolore e la tristezza del proprio cane

            Il cane esprime dolore, ma non come facciamo noi. Gli esperti consigliano di prestare molta attenzione se Fido comincia a sbadigliare, sbavare o nascondere il viso, segni di ansia e stress. Questi comportamenti potrebbero indicare un problema fisico o psichico. È importante controllare la buona ossigenazione delle gengive e se il naso è asciutto, segnali di malessere fisico. Se non ci sono patologie, il cane potrebbe essere in uno stato di ansia, sentirsi insicuro o annoiato. Non bisogna sottovalutare questi comportamenti.

            Le lacrime nel cane: cause e soluzioni

            Le lacrime nei cani servono biologicamente a lavare via polvere o altri irritanti dagli occhi. Tuttavia, un’eccessiva produzione di lacrime può indicare problemi medici, come l’epifora, dovuta a un’ostruzione dei dotti lacrimali causata da infezioni, parassiti o traumi. Questo problema può irritare la pelle e scolorire il pelo intorno agli occhi. In questi casi, è fondamentale consultare il veterinario.

            Una lacrimazione copiosa e di colore giallastro potrebbe derivare da un’infezione agli occhi o da una congiuntivite, curabile con antibiotici. Se in casa c’è anche un gatto, potrebbe trattarsi di un’ulcerazione della cornea causata da un graffio. Alcune razze, come il San Bernardo, il Carlino o il Rottweiler, possono soffrire di entropion, una malattia genetica in cui la palpebra cresce verso l’interno, causando irritazione alla cornea. Questa condizione è curabile con un intervento chirurgico.

            Anche i cani, quindi… piangono

            La risposta alla domanda se i cani piangono è sì, ma non per esprimere sentimenti di dolore come facciamo noi. I cani esprimono la tristezza in modi diversi, cercando di stare soli, non giocando o leccando insistentemente se stessi o il padrone. Noi proprietari dobbiamo fare di tutto per vedere i nostri cani felici e le loro code muoversi avanti e indietro con gioia.

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              Curiosità

              La hostess che sopravvisse a un volo di oltre 10.000 metri senza paracadute

              La storia di Vesna Vulović è davvero straordinaria. Nel 1972, questa assistente di volo serba sopravvisse a una caduta di 10.160 metri senza paracadute dopo che l’aereo su cui lavorava esplose a causa di un attentato terroristico1. Nonostante le gravi ferite e un lungo periodo di riabilitazione, Vesna Vulović divenne un simbolo di speranza e resilienza, detenendo il Guinness World Record per la caduta più alta sopravvissuta senza paracadute2. La sua storia è un incredibile esempio di sopravvivenza e coraggio.

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                Nel 1972, l’hostess Vesna Vulović sopravvisse incredibilmente a una caduta di 10.160 metri senza paracadute dopo che un attentato terroristico fece esplodere l’aereo su cui stava lavorando. Ripercorriamo questa storia straordinaria, esplorando le cause dell’incidente e come Vesna riuscì a sopravvivere a una tale tragedia.

                L’aereo della JAT Yugoslav Airlines, un DC-9, esplose in volo il 26 gennaio 1972 a causa di una bomba nascosta nella stiva, presumibilmente piazzata da un gruppo terroristico croato. L’esplosione avvenne mentre l’aereo sorvolava la Cecoslovacchia (l’attuale Repubblica Ceca), disintegrando l’aereo e lanciando i suoi resti a terra.

                Vesna Vulović, che si trovava nella parte posteriore dell’aereo, fu l’unica sopravvissuta tra le 28 persone a bordo. La fusoliera si schiantò su un’area montuosa innevata, e alcuni alberi e il manto nevoso attutirono l’impatto, contribuendo alla sua sopravvivenza. Inoltre, si ritiene che la pressione della cabina depressurizzata e il fatto che Vesna fosse all’interno di una piccola sezione della fusoliera che rimase relativamente intatta, abbiano giocato un ruolo cruciale.

                Vesna subì gravi ferite, tra cui fratture al cranio, alle gambe e alla colonna vertebrale, che la lasciarono temporaneamente paralizzata dalla vita in giù. Tuttavia, dopo mesi di convalescenza e un’intensa riabilitazione, riuscì a camminare di nuovo.

                La sopravvivenza di Vesna Vulović a un incidente così devastante è considerata un caso unico nella storia dell’aviazione, tanto da essere riconosciuta dal Guinness dei Primati per la sopravvivenza alla caduta libera senza paracadute da maggiore altitudine.

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