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Società

Il “vero” Mulino Bianco: storia, mito e vendita di un’icona

Riuscirà a trovare un nuovo proprietario che gli restituisca splendore? Oppure rimarrà un testimone silenzioso del tempo che passa?

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    Eh signora mia…non ci sono più le famiglie di una volta, quelle che la mattina si riunivano intorno a un tavolo per colazione tutti felici. Ben vestiti e pettinati tutti pronti per iniziare una nuova giornata chi a scuola e chi al lavoro. Era la famiglia del Mulino Bianco, quella rappresentata degli spot della Barilla con i suoi prodotti da forno via via sempre più farciti di dolcezza e forse anche qualche illusioni.

    Un mulino non solo simbolo delle pubblicità

    Quel Mulino Bianco non era solo un simbolo della pubblicità italiana, ma una costruzione reale fatto di mattoni oltre che di buoni sentimenti e che oggi è in vendita. Stiamo parlando del Molino delle Pile situato a Chiusdino, nell’incantevole Val di Merse, in provincia di Siena. Questo storico mulino, risalente al XIII secolo, ha avuto un’evoluzione affascinante: da impianto per la produzione di elettricità a location pubblicitaria iconica. Fino a diventare un agriturismo e, infine, un edificio in cerca di un nuovo futuro.

    Dallo spot alla leggenda

    La notorietà del Mulino Bianco esplode negli anni ’90 grazie a una pubblicità diretta dal regista premio Oscar Giuseppe Tornatore, con musiche del maestro Ennio Morricone. L’atmosfera evocata dallo spot contribuì a rendere il marchio Mulino Bianco sinonimo e allo stesso tempo simbolo di genuinità, tradizione e famiglia, trasformando il molino stesso in un’icona. Curiosamente, il vero mulino non è “bianco” come suggerito dalla pubblicità, ma costruito in pietra. Per esigenze scenografiche, vennero applicati pannelli di resina per conferirgli un aspetto più in linea con l’immagine del marchio. L’operazione fu affidata a Gianni Quaranta, scenografo vincitore del premio Oscar per il film Camera con Vista.

    L’evoluzione e la crisi

    Dopo essere stato di proprietà della Barilla dal 1985 al 1990, il Molino delle Pile venne trasformato in agriturismo, con otto camere e un ristorante capace di ospitare fino a 200 coperti. La struttura attrasse visitatori e appassionati per anni, ma nel 2019 l’attività venne chiusa, segnando l’inizio di un periodo di incertezza. Nel 2021 il mulino fu messo all’asta con una base di 831.000 euro, senza ricevere offerte. La proprietà saldò i debiti e ritirò l’immobile dal mercato, ma oggi il complesso torna in vendita per 1.450.000 euro. Un prezzo ben lontano dai 3,4 milioni di euro a cui era valutato nel 2012.

    I vandali in attesa di nuove avventure

    Purtroppo, negli ultimi anni l’edificio ha subito atti di vandalismo. Nonostante sia una proprietà privata e siano presenti barriere e divieti, alcuni malintenzionati continuano a introdursi all’interno, causando danni. Nel frattempo si èmossa anche la politica locale. Il capogruppo dell’opposizione comunale, Francesco Oporti, ha suggerito che il Comune acquisti il mulino, ritenendo che abbia ancora potenzialità di sviluppo. Tuttavia, al momento, l’amministrazione ha deciso di concentrare le risorse su altre attrazioni turistiche locali, come l a splendida Abbazia di San Galgano e la centrale geotermica.

    Un patrimonio da salvare. Chi lo farà?

    La storia del Mulino Bianco è una pagina indelebile della cultura pop italiana. L’edificio, costruito dai monaci dell’Abbazia di Santa Maria a Serena nel XIII secolo, deve il suo nome alle “pile” di pietra che facevano ruotare la grande ruota ad acqua. Un tempo fondamentale per la produzione di elettricità, ha attraversato secoli di trasformazioni. Fno a diventare un’icona pubblicitaria e ora in attesa di qualcuno che non voglia abbandonarlo all’incuria del tempo e degli uomini.

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      Lifestyle

      Come stanno i lavoratori italiani? Tristi e preoccupati

      Secondo una indagine realizzata da Gallup stress e tristezza sembrano dominare i lavoratori italiani. Un quarto di essi appare disimpegnato e addirittura rema contro l’azienda per cui lavora.

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        Secondo il report “State of the Global Workplace” di Gallup la situazione dei lavoratori italiani, è tutt’altro che rosea. Insomma non stanno bene. Anzi. Stress e tristezza sembrano dominare nelle aziende italiane. Un quarto dei lavoratori non solo appare disimpegnato, ma addirittura rema contro l’azienda per cui lavora. Un fenomeno, denominato “actively disengaged“, che in Italia sarebbe del 25%. Si tratta del livello più alto in Europa, che ha una media del 16%. Gallup, è una delle storiche agenzie statunitense specializzata in sondaggi d’opinione. Fondata a Princeton nel 1935 da George H. Gallup, l’agenzia è nota per i sondaggi elettorali a cui affianca indagini in campo economico, sociologico e psicologico.

        La ricerca di Gallup divide i lavoratori in tre categorie

        Impegnati: entusiasti e coinvolti nel lavoro, promotori dell’innovazione.
        Non impegnati: dedicano tempo ma non energia o passione al lavoro.
        Attivamente disimpegnati: insoddisfatti e risentiti, danneggiano attivamente l’ambiente di lavoro. L’alto livello di disimpegno attivo purtroppo è accompagnato da un basso livello di fiducia nel mercato del lavoro. Infatti solo il 32% degli italiani ritiene che questo sia un buon momento per trovare un lavoro, molto al di sotto della media europea del 57%.

        Una questione di onestà

        Pur tenendo conto dei risultati dell’indagine svolta da Gallup è evidente che remare contro l’azienda per cui si lavora è proprio un gesto di disonestà, intellettuale e morale. Ma non solo perché è rivolto verso il datore di lavoro. La disonestà coinvolge soprattutto i propri colleghi, il quello della scrivania a fianco. Così come non impegnarsi lasciando che altri si occupino delle mansioni che si dovrebbero seguire non è una questione di furbizia ma di sfruttamento e cinismo.

        Felici di lavorare

        Gallup ha valutato il benessere generale dei lavoratori italiani che si manifesta come un ulteriore punto critico. Infatti solo il 41% si dichiara “felice”, contro una media europea del 47%. Inoltre, il 46% dei lavoratori italiani prova stress e il 25% tristezza, percentuali significativamente più alte rispetto alla media europea (rispettivamente 37% e 17%). Molti di loro manifestazioni evidenti sintomi di burnout. La sindrome da burn-out è una risposta individuale a una situazione professionale percepita come logorante, in cui l’individuo non ha risorse o strategie adeguate per affrontare l’esaurimento fisico ed emotivo. Questo porta il lavoratore a sentirsi insoddisfatto e prostrato dalla routine quotidiana, che sviluppa un distacco mentale dal proprio impiego e un atteggiamento di indifferenza. Ma non solo. Anche malevolenza e cinismo verso l’attività lavorativa. Se sottovalutato, il burnout può evolvere in depressione e altri disturbi complessi. Per questo motivo i suoi sintomi non devono essere considerati passeggeri o poco importanti.

        Cosa possono fare le aziende per cambiare questa tendenza?

        Per migliorare questa situazione, è fondamentale che i datori di lavoro diano priorità al benessere dei dipendenti, al fine di migliorare l’esperienza lavorativa e ridurre il turnover. Solo così si potrà invertire una tendenza negativa e creare un ambiente lavorativo più sano e produttivo.

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          Lifestyle

          Hai uno stipendio di 2.500 euro al mese? Vivi in un monolocale!

          L’indagine del Codacons evidenzia come Milano e Napoli rappresentino due estremi del costo della vita in Italia. Mentre a Milano i prezzi elevati continuano a mettere a dura prova i portafogli dei residenti, Napoli si distingue per la sua relativa economicità, offrendo un contrasto netto tra Nord e Sud. La crescente disparità dei costi di beni e servizi tra le città italiane riflette una realtà complessa, in cui fattori economici e sociali contribuiscono a modellare il panorama della vita quotidiana.

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            Milano si conferma la città più cara d’Italia: vivere nel capoluogo lombardo costa sempre di più. Napoli, invece, si posiziona in fondo alla classifica, essendo la più economica sul fronte della spesa alimentare.

            Fare la spesa a Milano è un salasso

            Il Codacons ha realizzato un’indagine sul costo della vita nelle principali città italiane, confrontando prezzi e tariffe di carne, ortofrutta, dentisti, parrucchieri e bar. Per mangiare bene a Milano si spende in media il 47% in più rispetto a Napoli. Un carrello composto da ortofrutta, carne, pesce e pane costa in media 99,24 euro, mentre nella città partenopea solo 67,58 euro.

            Costo della vita sempre più alto: dai rifiuti al ginecologo

            A Napoli, la tariffa dei rifiuti raggiunge i 507,96 euro, il 148% in più rispetto a Trento (205 euro). Per quanto riguarda i bar, Trento rivendica il caffè più caro (1,24 euro l’espresso), seguita da Trieste (1,14 euro) e Bologna (1,13 euro). A Catanzaro, una tazzina di caffè costa in media 0,82 euro. A Bari, per una donna, un taglio dal parrucchiere costa 26,48 euro, mentre a Napoli solo 11,80 euro. Palermo è il paradiso dei denti: per un’otturazione si sborsano solo 66 euro, mentre ad Aosta 174 euro. Le visite private dal ginecologo costano 155 euro a Trento e Milano, mentre al sud, 80 euro a Napoli e 95 a Catanzaro.

            Il costo della vita è estremamente diversificato tra nord e sud

            “Il costo della vita è estremamente diversificato sul territorio, con le città del sud che risultano mediamente più economiche rispetto al Nord Italia. Prezzi e tariffe appaiono tuttavia in continua evoluzione: gli aumenti delle bollette di luce e gas stanno infatti determinando nelle ultime settimane rincari a cascata dei prezzi al dettaglio, a causa dei maggiori costi in capo a imprese e attività che vengono inevitabilmente scaricati sui consumatori attraverso rialzi dei listini”.

            2500 euro al mese

            Con uno stipendio da 2.500 euro al mese, in città, si può ambire al massimo a comprare un monolocale di meno di 40 metri quadrati con un mutuo trentennale all’80 per cento, naturalmente fuori dal centro. Un dato che sintetizza come mai a Milano ci sia un problema di accessibilità.

            Per quanto paradossale, la conferma di questa dinamica centrifuga arriva analizzando il successo dei grandi sviluppi immobiliari lungo le cerchie esterne. Sette le aree prese in considerazione tra il 2019 e il 2023 dall’ultima ricerca di Casavo, dimostrando la forte ricettività milanese anche nelle zone più periferiche, fino a pochi anni fa escluse dalle mappe immobiliari. Questo fenomeno innesca un meccanismo di creazione di valore dei quartieri, fissando quanto i milanesi siano effettivamente disposti a pagare per un appartamento fuori dalle prime cerchie.

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              Società

              Quante ore bisogna dormire in base alla nostra età?

              Rispettare il proprio ritmo circadiano e assicurarsi una quantità adeguata di sonno è essenziale per la salute e il benessere quotidiano.

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                Una buona notte di riposo è fondamentale per il benessere generale e la salute. Tuttavia, il fabbisogno di sonno varia in base all’età e alle esigenze individuali. Dormire il giusto numero di ore è necessario per tante cose. Consente di mantenere alta l’energia, migliorare la concentrazione e rafforzare il sistema immunitario. Sì ma quanto è necessario dormire per stare davvero bene? A ogni età corrisponde un certo numero di ore di sonno. Vediamo di quante ore abbiamo bisogno di dormire da 0 a 99 anni!

                Neonati (0-3 mesi)

                Ore di sonno necessarie: 14-17 ogni 24 ore. Il ritmo di sonno è frammentato e non regolato. E’ sempre influenzato comunque dalle esigenze del bambino.

                Bambini (4-11 mesi)

                Le ore di sonno necessarie in questa fascia d’età sono comprese tra 14-17 ogni 24 ore. L’orario consigliato per andare a dormire la sera è compreso tra le 19 e le 20. Da notare che in questa fascia di età si inizia a creare una routine del sonno che negli anni succesivi regolerà molto la crescita.

                Bambini piccoli (1-2 anni)

                Le ore di sonno necessarie sono 11-14 al giorno. Anche in questo caso l’orario consigliato per andare a dormire è compreso tra le 19 e le 20. In questa fascia di età il sonno notturno è accompagnato da diverso sonnellini diurni.

                Bambini in età prescolare (3-5 anni)

                Le ore di sonno necessarie sono tra le 10 e le 13 per notte. Si deve andare a dormire presto anche in questi casi tra le 19 e le 20,30. Alcuni bambini a questa età possono ancora beneficiare di sonnellini diurni.

                Bambini in età scolare (6-13 anni)

                In questa fascia di età assai sensibile alle ore di sonno e di sveglia bisognerebbe poter disporre tra le 9 e le 11 ore di sonno per notte. La sera si può andare a dormire un po’ più tardi tra le 20 e le 21,30. L’orario di sonno inizia ad allinearsi con il ritmo scolastico.

                Il sonno degli adolescenti (14-17 anni)

                A questa età bisognerebbe dormire minimo tra le 8 e le 10 ore per notte, andando a letto tra le 21 e le 23 massimo. Una illusione? Forse. Gli adolescenti tendono ad andare a dormire più tardi, ma un sonno regolare è cruciale per il loro sviluppo.

                Adulti (18-64 anni)

                In questa forchetta di età così ampia le ore di sonno indispensabili per stare bene durante la giornata sono tra le 7 e le 9. Beato chi ci riesce, potremmo aggiungere soprattutto dai 60 anni in su. Per gli adolescenti non ci sono problemi. Se li lasci dormire, dormono! E a che ora si consiglia di andare a dormire? Tra le 22 e le 23 in base alle proprie esigenze ricordando ancora una volta che un buon sonno migliora le prestazioni cognitive e il benessere fisico e agisce in maniera diretta sulla memoria.

                Fate dormire gli anziani (oltre 65 anni)

                Qui iniziano le dolenti note. Le ore di sonno necessarie per i cosidetti anziani (per età) sarebbero 7-8 ore per notte. Alzi la mano chi ci riesce… E’ consigliabile andare a dormire tra le 22 e le 23. Sapendo che poche volte accade ci si accontenta di quello che si riesce a organizzare. Spesso a questa età il sonno può essere più leggero e frammentato, ma il riposo resta comunque essenziale.

                Il sonno? Due o tre cose che sappiamo di lui

                Il sonno non riguarda solo la quantità, ma anche la qualità. Un sonno regolare e riposante aiuta a certamente a migliorare la memoria e la concentrazione, e rafforza il sistema immunitario. Inoltre riduce il rischio di malattie croniche e mantiene un buon equilibrio emotivo e mentale.

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