Società
L’assurdità della Sex Roulette, la nuova sfida su TikTok tra ragazze: chi rimane incinta per prima, perde
Una ragazza di 14 anni è rimasta incinta dopo essere caduta nella “challenge” sui social media, denominata Sex Roulette che incoraggiava ad avere rapporti sessuali non protetti con sconosciuti. Perde chi resta incinta.

E’ partita quasi in sordina da alcuni paesi baltici per poi diffondersi verso occidente e in tutta Europa. Si chiama Sex Roulette e consiste in una sfida nata sui social media che sta mettendo a rischio molti minorenni. E soprattutto sta preoccupando chi si occupa di medicina preventiva, psicologia e formazione dei giovani. Tanto che oggi giovedì 26 a Roma è stato organizzato un incontro istituzionale che vedrà la partecipazione di medici, associazioni ed esperti per confrontarsi su queste tendenze che rappresentano un vero rischio. L’evento è stato organizzato da ‘Legal Love‘ ed è nato dalla collaborazione fra il presidente di Road to green 2020, Barbara Molinario e l’avvocato Marina Condoleo.
Una challange nata sui social media
E proprio l’avvocato Condoleo ha preso le difese di una ragazza di 14 anni rimasta incinta dopo essere caduta vittima di questa challenge che incoraggiava a avere rapporti sessuali non protetti con sconosciuti. Una challenge per cui vince chi fa sesso senza rimanere in cinta e perde chi ci rimane. L’avvocato Condoleo, che fa parte dell’associazione Road to Green, ha incontrato la ragazza nel suo ruolo di educatrice e formatrice nelle scuole.
La Sex Roulette che attira le ragazzine
La sfida è nata in ambienti d famiglie benestanti di ricchi milionari di Belgrado per poi diffondersi rapidamente in Spagna e Regno Unito e da poco tempo approdare anche in Italia. Le regole del gioco prevedono che chi perde rimane incinta. Ma non basta. Per aumentare l’adrenalina e fare crescere la pericolosità, il brivido cresce se uno dei partecipanti è sieropositivo. Un ulteriore rischio perché nessuno conosce l’identità degli altri partecipanti, quindi nessuno è a conoscenza di chi è il positivo. L’avvocato Condoleo ha chiesto alla sua assistita se il padre del bambino fosse a conoscenza della gravidanza. E per tutta risposta la minore con molta sfacciataggine ha detto di non sapere neppure chi fosse il padre. Un emerito sconosciuto rintracciato sui social per portare avanti la sfida.
Come funziona la Sex Roulette
La ragazza ha spiegato che attraverso alcuni canali social si forma un gruppo di aderenti e si creano delle chat parallele con le quali i giovani partecipanti si intercettano. Quindi si accordano dove e quando avere una serie di rapporti sessuali senza l’uso del profilattico. Ma non basta. Secondo l’avvocato “La ragazzina era turbata non solo per il fatto di essere incinta, ma per il fatto di aver perso la challenge, e di considerarsi una ‘tagliata fuori’“. Assolutamente inconsapevole di tutto quello che le era successo, ormai al sesto mese di gravidanza, la minorenne si rammaricava soprattutto di aver perso la sfida e di sentirsi fuori dal branco.
La giovane ha deciso di tenere il bambino grazie a sua madre
La ragazza ha voluto tenere il bimbo che aveva in grembo grazie anche all’aiuto e vicinanza (tardiva?) di una mamma che si è rivelata eccezionale. L’avvocato è riuscita a convincere la ragazza a raccontare la sua storia alla madre nel corso di un incontro non facile e sostenuta da un team di psicologi che ruotano intorno al progetto Road to Green. “Questi ragazzi vanno aiutati“, dice l’avvocato. Ormai si passa dall’assenza della sessualità dell’infanzia a una sessualità estrema, prosegue Condoleo. “Questo perché sono catturati dalla realtà parallela dei social per cui tutto ciò che è fisico è a loro estraneo“. Hanno una sofferenza cronica dovuta alla mancanza della presenza delle famiglie, denuncia l’avvocato “(…) e quindi sono destinati a perdersi dei pezzi importanti della loro vita“.
A rischio non solo le periferie
Dal resoconto dell’avvocato e dell’Associazione che rappresenta emerge che ormai non è più solo la periferia quella più a rischio. Secondo l’associazione infatti emerge che nelle scuole del centro di Roma i problemi sono ancora più gravi perché spesso vengono negati dalla stessa famiglia. Per esempio? “Parliamo di alimentazione, anoressia. Presi da altro i genitori spesso non sentono il grido d’allarme dei loro figli“.
Al peggio non c’è mai fine
La sfida Sex Roulette purtroppo non è l’unico gioco con un livello altissimo di pericolosità. Tra gli adolescenti si stanno diffondendo altre sfide dai nomi eloquenti, come ‘Calippo tour‘ o ‘Chinotto tour‘. Sfide nelle quali ragazze girano l’Italia per avere rapporti orali con sconosciuti, da riprendere in video e pubblicare sulle varie piattaforme. A rischio di contrarre malattie e affondare definitivamente la loro fragile autostima.
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Società
Generazione boomerang: perché tanti figli adulti tornano a vivere con i genitori
Tra affitti insostenibili, lavori precari e relazioni complicate, cresce il numero di adulti che rientrano nella casa d’origine. Una scelta a volte forzata, a volte comoda. Ma che dice molto di come sta cambiando la società

Dopo anni di fatica, bollette e coinquilini improbabili, c’è chi prende una decisione che un tempo sarebbe sembrata un fallimento: tornare a casa. E invece oggi, per migliaia di giovani adulti italiani, il rientro nel nido familiare è una scelta sempre più comune. Li chiamano “boomerang kids”: figli che se ne vanno e poi tornano, spesso con una laurea in tasca, qualche delusione lavorativa alle spalle, e più sogni che certezze.
Il fenomeno non è nuovo, ma nel 2025 è diventato strutturale. Secondo l’Istat, oltre il 66% dei giovani tra i 25 e i 34 anni vive ancora o di nuovo con i genitori. I motivi? Tanti, e spesso intrecciati. I costi dell’indipendenza sono diventati proibitivi: affitti alle stelle, bollette da capogiro, spese quotidiane che si sommano a stipendi ancora bassi e contratti spesso a tempo determinato.
Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia. Alcuni tornano per scelta, non per necessità. Per prendersi una pausa dopo una separazione, per dedicarsi a un master, per risparmiare e avviare un progetto. E in fondo, perché a casa si sta comodi: si mangia meglio, si spende meno, si condivide la quotidianità.
Non mancano però le difficoltà. Vivere da adulti con altri adulti – che per di più ti hanno cresciuto – non è semplice. Si riaprono dinamiche familiari sopite, si ridefiniscono ruoli, si rinegoziano spazi e abitudini. “A volte mi sento un adolescente, anche se ho 32 anni e lavoro da sei”, racconta Marco, tornato a vivere dai genitori dopo la pandemia. “Ma poi la sera, quando torno stanco e c’è qualcuno che mi chiede com’è andata, capisco che questa convivenza ha anche del bello”.
Molti genitori accolgono i figli con entusiasmo, ma non senza fatica. È una seconda genitorialità, fatta di affetto ma anche di rinunce: alla privacy, al silenzio, ai propri ritmi. “Non mi pesa averlo qui – dice Anna, madre di due figli trentenni – ma cerchiamo di non ricadere nei vecchi ruoli. Ognuno fa la sua parte, siamo coinquilini con affetto”.
Il fenomeno apre molte domande. Sulla tenuta del mercato immobiliare, sul sistema occupazionale, sul significato stesso di indipendenza. Ma anche su un’idea di famiglia che cambia: più flessibile, meno gerarchica, forse più solidale.
La generazione boomerang ci dice che crescere, oggi, non significa per forza andarsene per sempre. E che, a volte, tornare non è un passo indietro. Ma una nuova partenza.
Società
Cyberbullismo a Modena: una tredicenne trova la forza di reagire grazie alla sua famiglia
Insulti anonimi sui social, disforia di genere e il coraggio di una giovane che, grazie alla famiglia e al dialogo, ha trasformato una dolorosa esperienza in un percorso di crescita

La vicenda di una tredicenne modenese vittima di cyberbullismo ha riportato alla luce il dramma di tanti giovani emarginati e perseguitati, spesso per la loro diversità. In questo caso la ragazza, isolata e tormentata da messaggi anonimi su un social network, ha trovato il coraggio di confidarsi con i genitori. Ha mostrato loro gli screenshot di una chat in cui veniva presa di mira con frasi agghiaccianti come «Meglio dissanguata e vederla soffrire» e «Bruciamola». A ferirla ancora di più, la scoperta che dietro a questi attacchi di cyberbullismo c’era una sua cara amica.
La pronta reazione della famiglia ha fatto la differenza
La madre della ragazza ha contattato i genitori dell'”amica” coinvolta, mentre il padre ha sporto denuncia alla polizia postale. Le autorità, con grande sensibilità, hanno avviato un intervento educativo nella scuola, spiegando ai ragazzi le gravi conseguenze delle loro azioni. Nonostante il dolore, la tredicenne ha dovuto iniziare un percorso di recupero, supportata da una psicologa, che ha portato alla scoperta di una disforia di genere. La ragazza si sente maschio e ha fatto coming out con i genitori, trovando in loro un sostegno fondamentale.
Gesti di omofobia, bullismo e cyberbullismo vanno contrastati sul nascere
Questa storia si inserisce in un contesto più ampio di tragedie legate al bullismo e all’omofobia. Come quella di Andrea Spezzacatena, il ragazzo dai pantaloni rosa che si tolse la vita a 15 anni, o di Davide Garufi, tiktoker noto come Alexandra, che si è suicidato dopo essere stato bersaglio di insulti sui social. Tuttavia, a differenza di queste tragiche vicende, la tredicenne modenese ha trovato la forza di parlare, evitando un epilogo drammatico. Oggi, la ragazza si sta riavvicinando alla sua amica e affronta con maggiore serenità la vita scolastica, in attesa di cambiare scuola il prossimo anno.
Società
La solitudine non è una colpa: perché siamo sempre più soli e perché va affrontata senza vergogna
Non è solo un problema sociale, ma anche sanitario: la solitudine cronica aumenta il rischio di malattie. Serve una nuova narrazione: non è un fallimento personale, ma una condizione da riconoscere e curare

Non è solo un problema sociale, ma anche sanitario: la solitudine cronica aumenta il rischio di malattie. Serve una nuova narrazione: non è un fallimento personale, ma una condizione da riconoscere e curare
Testo: La solitudine è una parola che fa paura. La pronunciamo sottovoce, la nascondiamo dietro schermi e agende piene, la confondiamo con la libertà. Eppure è sempre più presente nelle nostre vite. Secondo i dati ISTAT, oltre il 30% degli italiani si dichiara spesso o molto spesso solo. Tra gli anziani è una piaga silenziosa, tra i giovani un tabù modernissimo.
Viviamo iperconnessi, ma disconnessi. I social ci illudono di essere in contatto, ma aumentano il senso di esclusione. Le città crescono, i legami si indeboliscono. Famiglie più piccole, vite più mobili, lavori più precari. E il risultato è un esercito di persone che si sentono invisibili.
La solitudine, se protratta nel tempo, non fa male solo all’anima. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che può influire sul sistema immunitario, aumentare il rischio di depressione, di demenze, perfino di infarti. L’OMS l’ha riconosciuta come uno dei problemi emergenti del XXI secolo.
Eppure se ne parla poco, e quasi sempre con imbarazzo. Perché chi è solo tende a sentirsi colpevole: non abbastanza interessante, non abbastanza socialmente desiderabile. Ma la solitudine non è una colpa. È una condizione. E come tale va riconosciuta, affrontata, accompagnata.
Servono spazi di relazione, politiche sociali, reti di supporto. Ma serve anche un cambio culturale. Riconoscere che la solitudine può toccare chiunque, in qualsiasi fase della vita. Che non è un difetto, ma un bisogno inascoltato. E che parlarne è il primo passo per uscire dal buio.
La solitudine fa meno paura se la si chiama per nome. E se si comincia a costruire, attorno, una comunità che accoglie e non giudica.
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