Tech
Ci si può innamorare di un’entità creata dall’Intelligenza artificiale?
Ci si può innamorare di una IA? E’ stata questa la domanda che i reporter hanno insistentemente rivolto a Mr Sundar Pichai, Ceo di Google e di Alphabet nel corso della conferenza dedicata agli sviluppatori che si svolge ogni anno a Mountain View, nella Silicon Valley.
Nel 2013 il film di Spike Jonze “Lei” Joaquin Phoenix interpreta un uomo che si innamora della voce di un computer. Era stato considerato quasi un film di fantascienza. Molto avveniristico. Il film ebbe molto successo. Tra Oscar, Golden Globes e Critics Choice Award fece un bel bottino, oltre alle decine di milioni di dollari incassati. l film proponeva la storia di Theodore, impiegato di una compagnia che attraverso internet scrive lettere personali per conto di altri. Lasciato dalla ragazza non riesce a rifarsi una vita. Quando una nuova generazione di sistemi operativi, animati da un’intelligenza artificiale sorprendentemente “umana”, arriva sul mercato, Theodore comincia a sviluppare con essa, che si chiama Samantha, una relazione complessa oltre ogni possibile immaginazione. Innamoramento?
10 anni dopo la fantascienza diventa realtà
Ma ci si può innamorare di una IA? E’ stata questa la domanda che i reporter hanno insistentemente rivolto a Mr. Sundar Pichai, Ceo di Google e di Alphabet, nel corso della conferenza dedicata agli sviluppatori che si svolge ogni anno a Mountain View, nella Silicon Valley. La sua risposta è stata netta e decisa: prepariamoci anche a questo. Secondo Pichai con l’evoluzione dell’AI generativa è ormai lanciata per la propria strada. E’ capace di produrre e autoprodursi acquisendo personalità e identità proprie svincolate della programmazione e del controllo umano. Quindi ne deriva che in un futuro, non troppo lontano, tra uomo e AI potrebbe stabilirsi una connessione sempre più profonda.
Quindi sarà possibile innamorarsi di un intelligenza artificiale?
Secondo quanto riportato dal quotidiano New York Times che ha citato il film ‘Lei’, Pichai nn ha smentito che una tecnologia che progredisce ogni giorno di più, possa offrire sempre molteplici casi di utilizzo. “Penso che ci siano aspetti positivi. Man mano che l’IA diventa più potente, le persone potrebbero usarla per conversare “, ha risposto al NYT, il Ceo di Google. “L’IA è un strumento per chi ha problemi di comunicazione e ci saranno molte persone che la useranno per preservare i ricordi più cari“. Ne deriva che secondo il Ceo avendo la possibilità di disporre di una tecnologia così potente, nel prossimo futuro ci sia la possibilità che gli umani abbiano relazioni profonde con gli assistenti dotati di intelligenza artificiale. E che i loro si possano anche innamorare.
Un innamoramento professionale
Di certo Pichai un innamoramento professionale lo ha avuto quando si è trovato alle prese con l’intelligenza artificiale. Come riporta il NYT è lui stesso ad ammetterlo. “E’ successo quando mi hanno mostrato una demo realizzata da Google DeepMind nella quel si vede come una rete neurale potesse riconoscere, per esempio, un gatto. Ecco è in quel preciso istante che ho avuto un’illuminazione“.
Ovvero?
“Ho capito che questa tecnologia avrebbe funzionato e che c’era una prateria di prospettive diverse davanti a noi”. Del resto l’utilizzo della rete ha consentito di avere accesso all’informatica e quindi la conoscenza a oltre 4 miliardi di utenti. Anche l’Ai ha le stesse potenzialità che aveva internet. Una tecnologia che può cambiare radicalmente le cose in tutti i campi. E perché no anche nelle relazioni tra umano e macchina.
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Lifestyle
Care zanzare questa estate vi eviterò con l’ipertermia
Si chiama Heat it Pro e sarebbe l’ultimo ritrovato per evitare le punture di zanzare. più che evitare bisognerebbe dire alleviare il prurito che ne deriva. Sta spopolando su Kickstarter piattaforma americana che recupera e fornisce finanziamenti collettivi per progetti creativi.

Si chiama Heat it Pro ed è l’ultimo ritrovato per evitare le punture di zanzare. più che evitare bisognerebbe dire alleviare il prurito che ne deriva. Sta spopolando su Kickstarter piattaforma americana che recupera e fornisce finanziamenti collettivi per progetti creativi. Una specie di crowdfunding che finora ha finanziato diversi tipi di imprese. Dai film indipendenti ai videogiochi, da spettacoli teatrali all’edizione di fumetti, dal giornalismo alla domotica e all’high tech. Heat it Pro è un dispositivo che promette di alleviare rapidamente il prurito e il dolore delle punture di insetti applicando calore attraverso una chiavetta che si ricarica con lo smartphone.
Cos’è Heat it Pro?
E’ una chiavetta che si collega alla porta di ricarica dello smartphone, disponibile sia in versione USB-C per Android che con connettore Lightning per iPhone (dal modello 6s al 14, con una versione per iPhone 15 in arrivo). Questo dispositivo, assemblato interamente a Karlsruhe, in Germania, utilizza il calore generato dallo smartphone per fornire sollievo dalle punture di zanzare, api, vespe, tafani e altri insetti simili.
Come funziona?
Si inserisce la chiavetta nella porta di ricarica dello smartphone. Quindi si apre l’applicazione dedicata e si selezionano le opzioni desiderate. La durata del trattamento (4, 7 o 9 secondi), l’intensità del calore (adatto per bambini o adulti), la tipologia della pelle sensibile. Dopo aver impostato le preferenze, il dispositivo inizia a pre-riscaldarsi. Una volta pronto, applica la chiavetta direttamente sulla puntura per il tempo selezionato. La temperatura raggiunta durante il trattamento varia tra i 47 e i 52 gradi Celsius che equivalgono gli stessi gradi centigradi.
Ma come funzione il principio dell’ipertermia
L’applicazione di calore intenso per pochi secondi agisce direttamente sui nervi della zona cutanea colpita, impedendo loro di trasmettere al cervello gli stimoli del prurito. Questo metodo è supportato da studi scientifici pubblicati dall’azienda, che ne dimostrano l’efficacia.
Quali sono i principali vantaggi
E’ facile da trasportare e utilizzabile ovunque. Adatto a tutti è sicuro per bambini dai quattro anni in su. Utilizza un processo rapido e senza complicazioni e rappresenta una soluzione immediata per alleviare le punture di insetti. Si connette alla porta dello smartphone, si collega a un’app e in pochi secondi promette di dare sollievo contro le punture di insetto. Come? Applicando calore.
Tech
Smartwatch per bambini: moda o vera utilità?
Geolocalizzazione, chiamate rapide, foto, giochi e perfino chat: gli smartwatch per bambini promettono sicurezza e divertimento. Ma siamo sicuri che sia la scelta giusta per loro e per noi?

Piccoli, colorati e pieni di funzioni: sono gli smartwatch pensati per i più piccoli, oggetti che ormai campeggiano nelle vetrine di elettronica e sotto l’albero di Natale. I genitori li amano per il GPS e le chiamate rapide, i bambini li vogliono per le foto, i giochi e la sensazione di essere grandi. Ma sono davvero utili o solo un altro gadget tecnologico precoce?
Da un lato c’è l’aspetto sicurezza. Questi dispositivi permettono ai genitori di sapere dove si trovano i figli in ogni momento, di chiamarli con un clic, di impostare zone sicure con avvisi automatici in caso di allontanamento. In alcuni modelli è persino presente un tasto SOS per emergenze.
Dall’altro lato ci sono i dubbi: abituare i bambini alla tecnologia troppo presto li rende più dipendenti dagli schermi? Non è un modo per controllarli costantemente, togliendo spazio all’autonomia e alla fiducia?
Molti pediatri e psicologi infantili sottolineano che il problema non è lo strumento in sé, ma l’uso che se ne fa. «Se serve a creare un ponte tra genitori e figli, va bene. Se diventa un guinzaglio digitale, allora meglio ripensarci», spiega la dottoressa Francesca Galassi, neuropsichiatra.
Altro tema: la privacy. Anche se i dati dei bambini sono teoricamente protetti da normative specifiche, spesso queste app si appoggiano a server esteri con policy poco chiare. E poi ci sono le distrazioni: chat, videogame e fotocamere possono trasformare lo smartwatch in un altro schermo da cui è difficile staccarsi.
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Sì agli smartwatch se usati con consapevolezza, no se diventano una scusa per delegare alla tecnologia la nostra presenza.
Per i più piccoli, forse, il regalo migliore resta il tempo passato insieme.
Tech
L’algoritmo ti vede (anche quando dormi): come l’intelligenza artificiale sta cambiando la nostra quotidianità
Svegliarti al momento giusto, consigliarti cosa indossare, prevedere il tuo umore, scriverti una mail. L’intelligenza artificiale non è una novità: è già ovunque, spesso invisibile. Eppure, non abbiamo ancora imparato a riconoscerla, né a farle le domande giuste.

Suona la sveglia alle 6:47. Non le 6:45, non le 6:50. Ma esattamente alle 6:47. Perché secondo l’AI che gestisce il tuo ciclo REM, quello è il momento migliore per svegliarti senza sentirti un cadavere ambulante. Appena apri gli occhi, Alexa ti informa che oggi ci sarà sole fino alle 14 e che ti conviene indossare qualcosa di leggero. Intanto il frigorifero ha già ordinato il latte e la tua playlist del mattino è stata scelta da un algoritmo che analizza il battito cardiaco del sonno.
Benvenuti nel 2025, dove l’intelligenza artificiale non è più un’invenzione da film, ma una presenza silenziosa e continua. Non solo nei laboratori di ricerca o nei chatbot aziendali: ma nei nostri letti, nei nostri armadi, nelle nostre chat. E no, non è una teoria del complotto. È la nuova normalità.
Il punto è che l’AI non è più un software: è un’infrastruttura. Decide quali contenuti ci vengono mostrati, con chi parliamo di più, quanto tempo passiamo a fissare uno schermo. Fa da filtro, da suggeritore, da interprete del nostro comportamento. A volte ci conosce meglio di chi ci dorme accanto.
Nel mondo del lavoro, per esempio, è già lei a fare il primo screening dei curriculum. Negli ospedali legge le radiografie più velocemente dei medici. Nei supermercati suggerisce cosa comprare in base alla dispensa. Alcune AI ora vengono usate anche nei tribunali americani per valutare la probabilità di recidiva di un imputato. Ogni giorno un pezzetto di vita viene delegato. O automatizzato.
Eppure, continuiamo a pensare che l’intelligenza artificiale sia qualcosa di lontano, di tecnico, di specialistico. In realtà, è una tecnologia emotiva: sa quando sei stanco, quando sei stressato, quando potresti cliccare su una pubblicità. Ti suggerisce, ti previene, ti addestra.
Il rischio più grande non è che l’AI ci controlli. È che lo faccia senza che ce ne accorgiamo. Perché il vero potere oggi non è sapere tutto di te. È sapere di più di quello che tu stesso sai.
E mentre aspettiamo auto che si guidano da sole e maggiordomi robot, non ci accorgiamo che già oggi l’algoritmo sa come ci sentiamo prima ancora che lo capiamo. Non serve temerla. Ma almeno, guardarla in faccia sì.
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