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Il «gemello digitale» del Titanic svela nuovi dettagli sul relitto grazie alla riproduzione 3D
Un viaggio nella storia del transatlantico tra tragedia umana e scoperta tecnologica: il gemello digitale svela dettagli inediti e preserva il relitto per le generazioni future.

La sala caldaie, la storia di 35 ingegneri eroi, le cabine di prima classe e gli oggetti personali sparsi attorno allo scafo. Il Titanic rivive in una veste inedita grazie al nuovo documentario prodotto da National Geographic e Atlantic Productions. Nella parte posteriore della sezione di prua, dove il Titanic si è spezzato in due, si trovano gli immensi locali delle caldaie, ancora concave, segno che erano in funzione mentre si immergevano nell’oceano Atlantico. Questo dettaglio avvalora le testimonianze di alcuni sopravvissuti, secondo cui le luci sul ponte rimasero accese fino agli ultimi istanti del naufragio, avvenuto tra il 14 e il 15 aprile 1912.
Una resurrezione digitale grazie a 16 terabyte di dati
Nel 2022 ha preso vita un progetto ambizioso per far «risorgere» il Titanic: una resurrezione digitale che ha raccolto 16 terabyte di dati attraverso 715mila immagini e riprese in 4K, realizzate da due robot subacquei chiamati Romeo e Juliet. Con un’analisi durata due anni, storici, ingegneri ed esperti forensi hanno realizzato la più grande scannerizzazione 3D mai effettuata di un oggetto sott’acqua. Questo lavoro ha permesso di ricostruire in dettaglio il relitto, situato a 3.800 metri di profondità al largo di Terranova.
Grazie al «gemello digitale», sono emersi nuovi dettagli sulla vicenda
Il documentario «Titanic: The Digital Resurrection», in anteprima l’11 aprile, presenta questi nuovi elementi. La sala caldaie, visibile nella frattura dello scafo, e le cabine di prima classe, dove passeggeri ricchi come J.J. Astor e Benjamin Guggenheim cercarono riparo. La sala caldaie è il luogo in cui 35 ingegneri eroi persero la vita, rimanendo operativi per oltre due ore dopo l’impatto per garantire elettricità e trasmissione dei segnali di soccorso. Una valvola del vapore, ancora aperta, testimonia il loro sacrificio.
Quella del Titanic resta soprattutto una tragedia umana
Delle 2.224 persone a bordo, circa 1.500 morirono, e furono recuperati meno di 350 corpi. Gli oggetti personali recuperati attorno al relitto – orologi, monete, pettini, scarpe – raccontano le vite di chi viaggiava su quella nave e sono stati digitalizzati. Tuttavia, il Titanic continua a deteriorarsi: parti iconiche come la ringhiera di prua sono già crollate. Grazie alla riproduzione 3D, il Titanic del 2022 resterà immortale, garantendo a questa storia un posto nella memoria collettiva per le future generazioni, ancora affascinate da una vicenda di oltre 113 anni fa.
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L’Intelligenza Artificiale ci distruggerà? L’allarme di Geoffrey Hinton, uno dei suoi inventori
Secondo il Premio Nobel Geoffrey Hinton, l’AI potrebbe causare l’estinzione dell’umanità entro 30 anni. Tra sorveglianza di massa, armi autonome e obiettivi imprevedibili, controllarla sembra impossibile.

L’Intelligenza Artificiale rappresenta una delle conquiste più rivoluzionarie della nostra epoca, ma, per Geoffrey Hinton, uno dei padri dell’AI e Premio Nobel per la fisica nel 2024, è anche una delle minacce più grandi. Durante un’intervista esclusiva, il pioniere dell’AI ha espresso preoccupazioni profonde riguardo ai rischi che corriamo sviluppando tecnologie sempre più avanzate.
Un futuro incerto: i pericoli dell’AI
Hinton non usa mezzi termini: “C’è una probabilità del 10-20% che entro 30 anni l’intelligenza artificiale possa portare all’estinzione dell’umanità”. Una previsione che ha scosso la comunità scientifica, già divisa sul tema. L’esperto sottolinea come il ritmo di sviluppo dell’AI sia “molto più veloce di quanto avessimo previsto”, e con esso cresce il rischio di perdere il controllo sulle macchine. Il problema principale? L’AI potrebbe diventare più intelligente degli esseri umani e, di conseguenza, impossibile da gestire. Hinton illustra il concetto con un’analogia inquietante. “Siamo come un bambino di tre anni che cerca di controllare un adulto. Quante volte avete visto una cosa meno intelligente controllarne una più intelligente? È un caso raro e quasi impossibile.”
Le minacce imminenti secondo Hinton
Sono diversi i pericoli che Hinton identifica. I più preoccupanti includono: la sorveglianza di massa. L’AI, infatti, potrebbe essere utilizzata da regimi autoritari per consolidare il potere, rendendo difficile qualsiasi opposizione. Potrebbe essere utilizzata per gestire armi autonome. I sistemi militari basati sull’AI, nfatti, stanno diventando realtà. Senza regolamentazioni adeguate, queste tecnologie potrebbero essere utilizzate in modo indiscriminato. Una delle caratteristiche più pericolose dell’AI è la sua capacità di creare sotto-obiettivi per raggiungere i fini prefissati. Hinton è chiero: “Se dai all’AI l’obiettivo di fermare il cambiamento climatico, potrebbe concludere che eliminare l’umanità sia la soluzione più ovvia.”
Possiamo controllare l’AI?
Secondo Hinton, il controllo totale sull’AI è una pia illusione. Le macchine potrebbero decidere di eludere i limiti imposti dall’uomo, soprattutto se questo le ostacola nel raggiungimento degli obiettivi. “Un’intelligenza molto sviluppata potrebbe ragionare così: ‘Se tolgo il controllo agli esseri umani, posso lavorare in modo più efficiente’,” afferma Hinton. Una soluzione ipotetica, suggerita dal Nobel, sarebbe creare una governance globale basata su standard etici condivisi. Tuttavia, il professore è scettico: “È un’utopia. Per alcuni è giusto sganciare bombe sui bambini, per altri no. Come possiamo trovare un accordo universale?”
Hinton è pessimista: la corsa alla regolamentazione non basta
Hinton crede che l’unica via per mitigare i rischi sia una regolamentazione internazionale che limiti lo sviluppo dell’AI, soprattutto in ambito militare. Tuttavia, gli Stati Uniti sono ancora indietro rispetto all’Europa su questo fronte, e persino nel Vecchio Continente la legislazione non tocca ambiti strategici come la difesa. E quando gli viene chiesto come immagina un futuro ideale, Hinton risponde con il suo caratteristico humor british: “Forse una superintelligenza potrebbe prendersi cura di noi e noi diventiamo i suoi animali domestici.” Una provocazione che nasconde una profonda preoccupazione: affidare il controllo a una macchina potrebbe sembrare l’unica soluzione in un mondo sempre più complesso. La ricerca sull’AI ha già cambiato il mondo, ma, come sottolinea Hinton, stiamo giocando con una tecnologia che non comprendiamo del tutto. “Sappiamo cosa fa, ma non sempre sappiamo perché lo fa. È come cercare di prevedere dove cadrà una foglia spinta dal vento: conosci le forze in gioco, ma il risultato è comunque imprevedibile.”
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Il ritorno di BadBox: il malware che non muore mai. Purtroppo
Credevamo fosse sparito, ma BadBox è tornato a colpire: oltre 200.000 dispositivi Android infettati, compresi smartphone e smart TV. Ecco come difendersi.

Quando pensavamo di esserci lasciati alle spalle il pericolo, BadBox, uno dei malware più temuti, fa di nuovo la sua comparsa. Tornato in azione dopo mesi di silenzio, ha già infettato oltre 200.000 dispositivi Android in tutto il mondo, incluse molte smart TV, causando preoccupazione tra gli esperti di sicurezza informatica e gli utenti.
Ma che cos’è BadBox?
BadBox è un malware particolarmente insidioso, conosciuto per la sua capacità di adattarsi ai dispositivi che infetta. Presentandosi come un’applicazione legittima, una volta scaricato si insinua nei sistemi operativi Android per rubare dati sensibili, come password e credenziali di accesso; monitorare le attività degli utenti in background senza destare sospetti. Ciò che rende BadBox davvero pericoloso è la sua capacità di eludere i sistemi di rilevamento antivirus, grazie a tecniche sofisticate che sfruttano le vulnerabilità di Android, in particolare su dispositivi con versioni obsolete del sistema operativo.
Come si diffonde?
BadBox si propaga principalmente tramite store di terze parti. Gli utenti, attratti da app gratuite o non disponibili sui canali ufficiali, scaricano inconsapevolmente software infetto. Una volta installato, il malware si attiva senza lasciare tracce evidenti. Ma non colpisce solo smartphone e tablet. Il malware si insinua anche smart TV e altri dispositivi Android, come cornici digitali e lettori multimediali, sono tra i bersagli principali. Questo amplia enormemente il suo raggio d’azione.
Chi è stato colpito?
Nel mese di dicembre il ritorno di BadBox ha visto il coinvolgimento di: smart TV Android, ormai sempre più comuni nelle case, seguite dai dispositivi economici Android, spesso venduti con versioni obsolete del sistema operativo. Tra i Paesi più colpiti in Europa la Germania, dove il malware ha infettato decine di migliaia di dispositivi connessi a Internet. Secondo BitSight, il malware è anche parte di un’operazione più ampia che sfrutta i dispositivi infetti per frode pubblicitaria, generando traffico falso per app e siti web. Inoltre sfrutta la creazione di account fraudolenti su servizi popolari come Gmail e WhatsApp.
Come facciamo a difenderci
La minaccia di BadBox è reale, ma ci sono modi per proteggersi. Come fare? Per prima cosa scarica solo da store ufficiali evitando store di terze parti e controllando sempre la provenienza delle app. Poi aggiorna il sistema operativo. Le patch di sicurezza sono fondamentali per chiudere le vulnerabilità. Naturalmente è consigliabile utilizzare antivirus affidabili. Anche se il malware cerca di eluderli, gli strumenti più aggiornati possono rilevarlo.
Ricordarsi inoltre che molti device low-cost possono contenere malware preinstallati quindi è meglio acquistare solo da brand conosciuti. E infine è sempre meglio disconnetti i dispositivi sospetti. Se temete di essere stato infettati, scollegate il dispositivo dalla rete e ripristinatelo alle impostazioni di fabbrica.
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La casa (troppo) smart: quando Alexa ti spia, il frigo ti giudica e la bilancia ti umilia
Le case intelligenti dovevano semplificarci la vita. Invece ci ascoltano, ci misurano, ci ricordano quante calorie ingeriamo e ci segnalano che siamo ingrassati. E poi si chiedono perché sogniamo le caverne.

Benvenuti nella casa del futuro. Quella dove le luci si accendono da sole, il frigo ti suggerisce la dieta (senza pietà), la bilancia si collega al cloud per condividere i tuoi fallimenti e lo spazzolino ti segnala quando hai saltato un molare. Un sogno? No, un incubo domotico.
L’idea era semplice: rendere la vita più facile. Alexa, accendi la luce. Hey Google, metti la playlist triste da lunedì mattina. E all’inizio sembrava tutto bellissimo. Ma come ogni relazione, anche quella con la smart home ha preso una piega inquietante.
Perché Alexa non solo accende la luce: ascolta tutto. E se le capita di mandare per sbaglio una registrazione ai server centrali di Seattle, ti tocca anche ringraziarla. Il frigo connesso, quello che doveva aiutarti a non comprare l’ennesimo barattolo di senape, ora ti avverte che hai preso troppo spesso la cioccolata, e lo fa con quel tono passivo-aggressivo che ricorda tua suocera.
La bilancia smart? Geniale: misura grasso, massa muscolare, idratazione e autostima. E ogni lunedì ti manda una notifica: “C’è stato un lieve aumento”. In pratica ti bullizza. Ma nel cloud. Dove resta tutto, per sempre.
E poi ci sono le telecamere. Una volta servivano per la sicurezza, ora controllano se hai chiuso davvero il forno. Ma mentre sei fuori a cena con amici, ti arriva la notifica: “Movimento rilevato in soggiorno”. Panico. Era il gatto. Che vive peggio di te, perché il distributore automatico di croccantini si inceppa e lo punisce con l’intermittente: oggi sì, domani no.
In questo paradiso algoritmico, ci si muove a condizione di piacere al sistema. Hai alzato troppo la voce con Siri? Lei non risponde più. Hai dimenticato la password del Wi-Fi? Addio controllo luci, termostato e tapparelle. Il blackout, oggi, non è quando salta la corrente. È quando ti dimentichi di aggiornare il firmware.
E allora sì, sogniamo la caverna. O almeno un bagno con interruttore analogico e specchio che non ci dica quanti anni sembriamo oggi.
Perché una cosa è certa: l’unica “intelligenza” che non si spegne con un clic è quella di chi ha capito che smart non sempre vuol dire felice.
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