Viaggi
Guida pratica al galateo dei ristoranti giapponesi: contanti, fumo e niente tovaglioli
Ecco una guida essenziale per chi desidera mangiare nei ristoranti di Tokyo, dalla scelta dei locali al pagamento, senza dimenticare il galateo giapponese. Tutto ciò che serve sapere per vivere un’esperienza autentica nel Paese del Sol Levante.

I ristoranti giapponesi sono un’esperienza unica che va ben oltre il sushi. Tokyo, con i suoi 80.000 ristoranti, offre una varietà incredibile di scelte, dagli izakaya ai sunakku bar. Ecco alcuni consigli pratici per vivere serenamente la tua esperienza gastronomica in Giappone, soprattutto a Tokyo.
La scelta del ristorante
Tokyo è la città con la maggiore quantità di ristoranti al mondo, circa 80.000, con una varietà che riflette la sua vastità. La maggior parte dei ristoranti si specializza in un piatto specifico, come gli izakaya dove il cibo accompagna i drink. La città offre una vasta gamma di opzioni, dai locali di ramen ai sushi bar, fino ai baracchini di street food.
Prezzi sorprendentemente accessibili
Il Giappone può essere sorprendentemente economico. Con lo yen in svalutazione, un piatto semplice in un ristorante medio-basso costa tra 800 e 1.500 yen (meno di 10 euro). Anche il sushi, considerato un lusso, ha un prezzo accessibile: circa 4.000 yen (25 euro) per un piatto di 15 pezzi. Le birre medie costano generalmente 500 yen (3 euro).
Contanti e pagamenti
In Giappone l’uso del contante è molto diffuso. Molti ristoranti, soprattutto nei food district come i vicoli di Omoide Yokocho a Shinjuku, accettano solo pagamenti in contanti, rifiutando quelli elettronici.
La lingua inglese
Pochi giapponesi parlano inglese fluentemente. Fortunatamente, le foto dei piatti e le riproduzioni in plastica aiutano a scegliere cosa ordinare. Alcuni ristoranti utilizzano tabelloni elettronici per le ordinazioni, dove si paga in anticipo e si riceve un bigliettino da consegnare al cameriere.
Strade e quartieri specializzati
Tokyo ha quartieri specializzati in determinati piatti. Per esempio, la Ramen Street si trova nei sotterranei della Tokyo Station, mentre per il pesce fresco si va nei dintorni del vecchio mercato di Tsukiji.
Mance e servizio
In Giappone, le mance non sono necessarie e possono essere considerate offensive. Il servizio e il coperto non sono mai addebitati, salvo eccezioni come nel Golden Gai vicino a Shinjuku, dove alcuni locali prevedono un “cover charge”.
Tovaglioli
I tovaglioli sono rari nei ristoranti giapponesi. Viene fornita una salvietta umidificata all’inizio del pasto e minuscoli tovaglioli imbustati nei dispenser.
Acqua e alcol
L’acqua viene servita gratuitamente e in quantità desiderata. Le bevande alcoliche, come la birra locale (Sapporo, Asahi, Kirin) e il sake, sono le opzioni più comuni. Il sake offre una varietà sorprendente e vale la pena esplorarla.
Fumo nei locali
Contrariamente al divieto di fumare per strada e nei luoghi pubblici, molti ristoranti permettono di fumare all’interno. I locali che consentono il fumo sono spesso piccoli e segnalati da cartelli “smoking allowed”.
Questi consigli ti aiuteranno a orientarti nei ristoranti di Tokyo, rendendo la tua esperienza culinaria più piacevole e autentica. Buon appetito!
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Viaggi
Alla scoperta dei canyon del Raganello: il cuore selvaggio della Calabria
Nel Parco Nazionale del Pollino, tra Civita e la Sila, si nasconde uno dei segreti meglio custoditi della Calabria: un itinerario ad anello tra le gole del Raganello che unisce natura estrema, storia e avventura. Il periodo perfetto per scoprirlo? Proprio adesso

Se esiste un luogo in Italia dove la natura riesce a farsi selvaggia, solenne e sorprendentemente poetica allo stesso tempo, quello è il canyon del Raganello. Un gioiello incastonato tra le pareti calcaree del Parco Nazionale del Pollino, al confine tra Calabria e Basilicata, che in primavera si trasforma in una tavolozza di colori, profumi e suoni.
Le Gole del Raganello si estendono per oltre 17 chilometri, da San Lorenzo Bellizzi fino a Civita, affacciandosi su uno dei panorami più spettacolari dell’intero Mezzogiorno. Qui l’acqua ha scolpito nei millenni una gola profonda, scavando passaggi tortuosi tra le rocce, creando cascate, pozze cristalline e anfratti che sembrano usciti da un romanzo di avventura.
L’itinerario più suggestivo è quello che parte dal borgo arbereshe di Civita, uno dei “Borghi più belli d’Italia”, noto per le sue case con comignoli antropomorfi e per la sua ospitalità autentica. Da qui, si snoda un sentiero ad anello di circa 4 chilometri, accessibile a escursionisti di media esperienza. Il percorso attraversa boschi, costeggia burroni e regala viste mozzafiato sul canyon sottostante, fino a raggiungere il leggendario Ponte del Diavolo.
Costruito in epoca medievale, sospeso a 30 metri d’altezza, il ponte è protagonista di una leggenda popolare secondo la quale fu edificato dal diavolo in persona in cambio dell’anima del primo che l’avrebbe attraversato. Ma gli abitanti, più furbi del demonio, ci mandarono un cane. Oggi il ponte è uno dei luoghi più fotografati della zona.
La primavera è senza dubbio il periodo migliore per esplorare il Raganello. Le piogge dell’inverno alimentano i torrenti, la vegetazione esplode in un verde brillante e l’aria è pungente ma non gelida. Si consigliano scarpe da trekking, una buona scorta d’acqua e, se possibile, una guida locale, in grado di raccontare anche la storia geologica e culturale di questo angolo straordinario della Calabria.
Il canyon può essere esplorato anche nella sua parte più estrema, con escursioni in forra guidate da speleologi e canyonisti professionisti. Ma per chi preferisce la contemplazione alla scalata, basta affacciarsi da uno dei belvedere sopra Civita per restare senza fiato.
Le Gole del Raganello non sono solo un luogo da visitare: sono un’esperienza da vivere con lentezza. E primavera, con la sua luce dorata e i sentieri fioriti, è il momento ideale per farlo. Un viaggio tra natura, mito e silenzio, in uno dei luoghi più autentici del Sud Italia.
Viaggi
Viaggio nel silenzio: i migliori retreat per chi vuole staccare davvero
Monasteri, agriturismi isolati, rifugi immersi nei boschi: la nuova frontiera del turismo è il ritiro dal mondo. Tra yoga, meditazione e silenzio, per ritrovare se stessi lontano dal caos

Dimenticate le file al check-in, le foto con hashtag, le corse ai musei o i selfie in spiaggia. Oggi la vera tendenza del turismo è il silenzio. Sempre più persone scelgono di trascorrere le ferie lontani da tutto, staccando la spina in luoghi dove il cellulare non prende, il wi-fi non c’è e l’unico rumore è quello del vento tra gli alberi.
Sono i retreat del silenzio, o silent retreat, e in Italia stanno spuntando come funghi. Dai monasteri benedettini dell’Umbria agli agriturismi isolati dell’Appennino, dai rifugi alpini trasformati in centri di meditazione ai centri yoga in Maremma, l’offerta è varia ma l’obiettivo comune: tornare all’essenziale.
Qui si riscopre il valore del tempo lento. Si mangia in silenzio, si cammina a piedi scalzi, si dorme in stanze spartane senza televisione. Alcuni retreat prevedono giornate intere senza parlare. Altri includono sessioni guidate di mindfulness, yoga, alimentazione consapevole.
È un modo per fare detox non solo digitale, ma emotivo e mentale. Perché spesso il rumore più assordante è quello che portiamo dentro.
I benefici sono reali. Riduzione dello stress, miglioramento della concentrazione, più energia e consapevolezza. E al ritorno, il mondo sembra meno aggressivo, i problemi più piccoli, la connessione con se stessi più profonda.
E se il silenzio spaventa, basta iniziare con un weekend. O anche solo una giornata in un centro vicino casa. Il turismo del silenzio non è fuga, ma riconquista. Di spazio, di tempo, di senso.
Viaggi
Il treno più lento d’Europa (e perché sempre più persone vogliono salirci)
Dimenticate l’alta velocità: il lusso del futuro si misura in chilometri orari. Sempre più turisti scelgono tratte ferroviarie dimenticate dove il tempo si dilata, i finestrini non sono schermi e ogni stazione è un invito a fermarsi. Il culto del viaggio lento parte dai binari, e conquista anche i più impazienti.

C’è un treno in Svizzera che per percorrere 291 chilometri impiega più di otto ore. Lo chiamano il Glacier Express, ma l’ironia è evidente: express non lo è affatto. In compenso, attraversa 91 tunnel, 291 ponti e alcune delle valli alpine più spettacolari del continente. E oggi, sorprendentemente, è sold out per mesi. Perché se una volta si correva per arrivare prima, oggi il vero privilegio è poter rallentare.
Il turismo ferroviario lento sta vivendo una nuova primavera. Dalle Highlands scozzesi ai Balcani, passando per la Svezia, la Grecia e l’Italia, cresce il numero di viaggiatori che preferiscono una carrozza scricchiolante a un volo low-cost, un finestrino aperto a una notifica sul cellulare. Non si tratta solo di nostalgia. È un modo diverso di viaggiare: più consapevole, più sensoriale, più umano.
In Italia l’esempio più affascinante è forse la Transiberiana d’Italia: 129 chilometri tra Abruzzo e Molise, a una media di 30 km/h. Vagoni d’epoca, sedili in legno, neve d’inverno e pascoli d’estate. Nessun wi-fi, ma la certezza che ogni curva offra qualcosa da guardare. “La cosa più bella è sentire il treno respirare”, racconta un passeggero abituale. “Qui non si ha fretta. Si ascolta il paesaggio”.
Un tempo il treno era simbolo di progresso, oggi diventa rifugio dall’eccesso. Le compagnie lo hanno capito e stanno investendo: la Grecia ha riattivato la tratta Peloponneso-Kalavryta con una locomotiva storica; in Portogallo è tornata la Linha do Douro, lungo i vigneti patrimonio Unesco. E poi c’è la mitica Inlandsbanan svedese, 1300 chilometri da Mora a Gällivare tra renne, fiordi e silenzi infiniti.
Il fascino è anche ambientale: viaggiare in treno riduce l’impatto di carbonio fino al 90% rispetto all’aereo. Ma il vero cambiamento è culturale. “Siamo cresciuti nell’idea che lento sia sinonimo di inefficiente. Ora iniziamo a capire che lento è spesso sinonimo di profondo”, spiega un esperto di turismo sostenibile. “Non si viaggia più solo per arrivare: si viaggia per esserci”.
E così si prenotano tour in vagoni vintage, si scrivono blog su binari dimenticati, si girano documentari interamente girati da un finestrino. Le immagini scorrono piano, ma lasciano un segno. In un mondo che misura tutto in prestazioni, il treno lento è un atto di resistenza poetica. Il tempo si allunga, l’anima respira.
Il prossimo passo? I treni a vapore per viaggi sensoriali, quelli notturni con vagoni-cinema, e forse (perché no) il ritorno del biglietto cartaceo, da conservare come ricordo. In fondo, viaggiare lentamente non è tornare indietro. È scegliere da che parte andare.
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