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Cinema

Rocco Siffredi e Alain Delon, una coppia che non ti aspetti

Il rapporto tra Rocco Siffredi e Alain Delon non era fatto di incontri frequenti, ma di una condivisione profonda di emozioni e esperienze. In un mondo spesso caratterizzato da superficialità e luci riflettori, il loro legame si fondava su una reciproca comprensione del dolore e della fragilità umana.

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    E’ proprio un legame che non ti aspetti quello tra Alain Delon mostro sacro della cinematografia mondiale e Rocco Siffredi attore del cinema porno degli anni’90. L’attore italiano ha condiviso un ricordo toccante e intimo del legame speciale che si era creato tra loro. Un’amicizia che non ti aspetti, ma che ha avuto un impatto profondo sulla vita dell’attore italiano, noto a livello internazionale per la sua carriera nel cinema per adulti.

    L’origine del nome

    Si scopre infatti che il nome d’arte “Rocco Siffredi” non è casuale. E’ proprio un omaggio diretto al personaggio Roch Siffredi, interpretato da Alain Delon nel film Borsalino del 1970, diretto da Jacques Deray. Racconta Siffredi che il nome Rocco nacque proprio grazie a quel personaggio. “Quando scelsi quel nome, lo feci pensando a Delon, che è stato sempre uno dei miei idoli“.

    Il primo incontro non si scorda mai

    Il loro primo incontro avvenne negli studi televisivi di TF1, uno dei principali canali francesi. Entrambi ospiti di un programma fu il presentatore, sapendo che Siffredi aveva preso in prestito il nome del suo personaggio, avvisò. Alain Delon che si mostrò subito entusiasta e curioso di incontrare Rocco. “Mi accolse con un sorriso“, dice l’attore italiano “e mi disse: “Ou c’est Rocco Siffredi!“. Durante quel primo incontro, Delon fece notare a Siffredi che aveva una bellissima moglie e si disse contento che il nome del suo personaggio fosse stato di buon auspicio per la carriera dell’attore italiano.

    Un supporto inaspettato

    Il rapporto tra Siffredi e Delon non si limitò a quel primo incontro televisivo. Qualche anno dopo, infatti, nel 2016, quando uscì il documentario “Rocco“, che rivelava il lato più vulnerabile e umano dell’attore porno, Siffredi attraversò un periodo di profonda crisi esistenziale. Fu proprio allora che Alain Delon, inaspettatamente, gli fece sentire la sua vicinanza in un lungo messaggio vocale. “Un messaggio che ho conservato e che non ho mai fatto ascoltare a nessuno“. dice Siffredi. “In quel vocale mi invitava a non mollare, mi diceva che avrei ritrovato la luce, che il dolore sarebbe passato“.

    La sensibilità di Delon

    In seguito, Siffredi richiamò Delon per ringraziarlo, e i due ebbero una conversazione a parere dell’attore italiano indimenticabile. In quella telefonata Delon confidò che anche lui aveva vissuto lo stesso dolore interiore che stava attraversando Rocco.” Mi parlò della sua sensibilità, di come a volte anche i più forti possano sentirsi smarriti“. Questo scambio profondo fece scoprire a Siffredi una dimensione nascosta di Delon. Era talmente sensibile, dice “che lo trovai più italiano di me

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      Cinema

      Anche l’uscita del film Biancaneve diventa una battaglia ideologica? Non se ne può più

      Negli USA il film divide l’opinione pubblica tra critiche dei Repubblicani e difese progressiste, mentre in Europa conquista il pubblico con la sua modernità.

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        La nuova versione di Biancaneve, con protagonista Rachel Zegler, ha scatenato un acceso dibattito negli Stati Uniti, trasformandosi in un simbolo di una battaglia culturale. Da un lato, i suoi sostenitori vedono nella reinterpretazione un’opportunità per aggiornare una fiaba senza tempo. Cercando di renderla più inclusiva e adatta ai valori della società moderna. Dall’altro, i critici, in particolare i Repubblicani, considerano il film un esempio di come Hollywood stia «riscrivendo» la storia per promuovere un’agenda progressista.

        Che fine hanno fatto i sette nani? Biancaneve stroncato dalla critica americana

        Negli Stati Uniti, il film è stato stroncato da una parte della critica e da alcuni settori politici che lo accusano di aver tradito l’essenza originale della fiaba. Le modifiche apportate alla trama e ai personaggi, come l’assenza dei classici sette nani e l’introduzione di tematiche più contemporanee, sono state percepite come un tentativo di politicizzare una storia tradizionale. Per i Repubblicani, questa scelta rappresenta un ulteriore esempio di come la cultura pop sia diventata un terreno di scontro ideologico, dove le tradizioni vengono messe da parte per favorire un messaggio progressista.

        La Zagler ce la mette tutta ma non basta…

        Rachel Zegler, protagonista del film, ha affrontato le critiche con determinazione, dichiarando che il suo obiettivo è quello di raccontare una storia che possa risuonare con il pubblico moderno. In un’intervista, ha sottolineato l’importanza di accogliere le diverse reazioni come segno di passione per il film, ribadendo il suo impegno nel dare il meglio di sé.

        In Europa, invece, Biancaneve sta riscuotendo un successo maggiore

        Nel vecchio continente invece il pubblico sembra apprezzare l’approccio innovativo e la volontà di adattare una fiaba classica ai tempi moderni. La reinterpretazione è vista come un modo per celebrare la diversità e promuovere valori universali, senza che ciò venga percepito come una minaccia alle tradizioni. Il contrasto tra le reazioni negli Stati Uniti e in Europa evidenzia una profonda differenza culturale. Negli USA, il dibattito intorno a Biancaneve riflette una società polarizzata, dove persino un film può diventare un campo di battaglia ideologico. In Europa, invece, l’attenzione sembra essere maggiormente rivolta alla qualità artistica e al messaggio positivo del film.

        Innovatori vs tradizionalisti: è scontro su tutti i fronti

        Ma quindi qual è il ruolo della cultura popolare nel promuovere cambiamenti sociali e sull’equilibrio tra innovazione e rispetto delle tradizioni? Anche Biancaneve, più che un semplice film, è diventata un simbolo di queste tensioni. Dimostra come una fiaba può trasformarsi in un riflesso delle divisioni e delle aspirazioni di una società.

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          Cinema

          Depardieu a giudizio, l’attore alla sbarra per molestie: “Processo farsa, accuse infondate”

          Il protagonista di “Cyrano” accusato da due donne di palpeggiamenti e frasi oscene: “La giustizia ha calpestato i miei diritti”. Tensione alle stelle in aula tra i legali mentre si attende la testimonianza di Fanny Ardant. Rischia fino a cinque anni di carcere.

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            Gérard Depardieu non è solo uno dei simboli del cinema francese, ma anche – e sempre più – uno dei suoi scandali più clamorosi. A 76 anni, con una carriera leggendaria alle spalle e un passato che gli ha fatto indossare il mantello di Cyrano e di Danton, Depardieu si ritrova oggi sul banco degli imputati della sala 213 del tribunale di Parigi. Il gigante del cinema deve rispondere di gravi accuse: aggressione sessuale nei confronti di due donne, una decoratrice e un’assistente alla regia, che hanno lavorato sul set di «Les Volets Verts», film girato nel 2021.

            A rendere ancora più grottesco il quadro, il contrasto tra le condizioni fisiche dell’attore – cardiopatico, diabetico, un po’ barcollante ma sempre capace di lanciare baci al pubblico e sorrisi ai fan – e la durezza di una sala dove si respira un clima teso, quasi da battaglia. Davanti a lui una folla di testimoni, tra accusa e difesa: costumisti, tecnici luci, assistenti di scena, ma anche la sua storica amica Fanny Ardant, che martedì salirà sul banco per difenderlo.

            Le accuse sono pesanti. Secondo Amélie e Sarah – le due donne che hanno trovato il coraggio di portarlo in tribunale – Depardieu avrebbe proferito frasi sessualmente esplicite e avrebbe palpeggiato le vittime in più occasioni, durante le riprese. Il tutto avvenuto in un clima che, a detta loro, era ormai intollerabile.

            Lui respinge tutto, con quella teatralità che solo un mostro sacro del cinema sa mettere anche fuori scena. Al giudice che gli ricorda che può restare in silenzio, Depardieu replica di voler parlare e annuncia una dichiarazione. Poi lascia spazio al suo avvocato, Jérémy Assous, che entra subito a gamba tesa: “Questo processo è una violazione del principio di contraddittorio, nessuno ha ascoltato i 19 testimoni a discarico che confermano che non è accaduto nulla”. E lancia l’accusa più grave: “Il pubblico ministero ha deciso l’imputazione sulla base di una sola parola, senza prove concrete”.

            Nel frattempo, fuori dall’aula, monta la protesta: una cinquantina di militanti femministe manifesta contro Depardieu, gridando slogan e mostrando cartelli che invocano giustizia per le vittime. Ma nell’aula, il tono cambia e si fa ancora più caustico. Il legale dell’attore attacca duramente anche i media, citando il caso della trasmissione “Complément d’enquête” che – secondo lui – avrebbe manipolato i filmati diffondendo un passaggio su presunti commenti sessuali di Depardieu nei confronti di una bambina durante un viaggio in Corea del Nord. “Quella scena è stata montata ad arte. Non parlava della bambina, ma di tutt’altro”, sostiene Assous, che definisce il trattamento mediatico ricevuto dall’attore “una fucilazione pubblica”.

            Nessuna conferenza stampa, nessuna dichiarazione plateale da parte di Depardieu. Solo qualche battuta ai disegnatori che stanno immortalando l’udienza per la stampa e uno sguardo di complicità a Fanny Ardant, che lascia l’aula sorridendogli.

            Il regista Jean Becker, che avrebbe potuto chiarire il clima sul set, non si è presentato in aula. Un’assenza pesante, che alimenta l’idea di un processo ancora più controverso.

            Depardieu rischia fino a cinque anni di carcere e una multa di 75mila euro. Ma il verdetto sarà ben più ampio di quello scritto sulla sentenza: in ballo c’è il suo mito e l’ennesimo capitolo del #MeToo francese che, come sempre, divide l’opinione pubblica tra giustizialisti e garantisti. La battaglia è appena iniziata.

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              Cinema

              Clooney sferza Trump e difende la libertà di stampa: “Stati Uniti a rischio”. Ma The Donald lo deride: “Star di serie B e politologo fallito”

              In vista del debutto a Broadway con “Good night and good luck”, George Clooney denuncia il clima di intimidazione verso i media. Trump lo attacca e riapre la faida personale.

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                George Clooney non ci sta. Di fronte a un’America che sembra ripiegarsi su se stessa e sulla propria storia meno gloriosa, l’attore Premio Oscar accende i riflettori su una battaglia che ha a cuore da sempre: quella per la libertà d’informazione. Lo fa nell’intervista rilasciata a Sixty Minutes, trasmissione della Cbs, a pochi giorni dal debutto a Broadway della trasposizione teatrale di Good night and good luck, il film che nel 2005 diresse e interpretò ispirandosi alla figura di Edward Murrow, il giornalista che sfidò il maccartismo negli anni Cinquanta.

                Clooney parla di una stampa sotto assedio, tra censure e conflitti d’interesse, evocando l’ombra lunga di una nuova “caccia alle streghe”. E i nomi che cita non sono di repertorio: Los Angeles Times e Washington Post, secondo l’attore, si sarebbero piegati alle pressioni dei loro editori, rinunciando a schierarsi nelle elezioni presidenziali, in un momento storico che Clooney definisce “uno scontro epocale tra potere politico e libertà di stampa”.

                Non tarda ad arrivare la bordata di Donald Trump, che via social liquida l’attore come “una star di serie B e un politologo fallito”, aggiungendo che “nessuno ascolta più George”. Ma Clooney incassa e rilancia: nell’intervista, infatti, non si limita a denunciare la crisi della stampa libera, ma ricorda anche come il ritiro di Joe Biden dalla corsa per la Casa Bianca sia coinciso con il suo intervento pubblico, un editoriale sul New York Times che scosse l’opinione pubblica e il Partito Democratico.

                Il parallelismo con il suo spettacolo è evidente: Murrow, giornalista simbolo della lotta contro il senatore McCarthy, mise a nudo in tv le contraddizioni e gli abusi del potere repubblicano in un’America che viveva l’incubo rosso. Oggi, Clooney vede la stessa tensione nei tribunali e nei corridoi della politica, dove anche colossi come Abc e Cbs si ritrovano nel mirino di cause milionarie per diffamazione, proprio come accaduto di recente a seguito di azioni legali portate avanti dallo stesso Trump.

                Sullo sfondo, resta l’immagine di Clooney che con la moglie Amal Alamuddin, avvocato esperta di diritti umani, si schiera apertamente in difesa della libertà d’espressione, mentre The Donald si affanna a derubricare tutto a una faccenda di invidie hollywoodiane. E mentre la polemica infuria, Broadway si prepara a diventare la nuova arena di una battaglia culturale che sembra lontana dall’esaurirsi.

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