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Cinema

Nanni Moretti ricoverato d’urgenza per un infarto, operato al San Camillo

Nanni Moretti è arrivato d’urgenza in ambulanza al San Camillo di Roma nel tardo pomeriggio di oggi. L’intervento chirurgico è stato tempestivo e le sue condizioni, seppur serie, non sarebbero drammatiche. Già a ottobre scorso aveva subito un altro episodio cardiaco.

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    Il regista e attore romano Nanni Moretti, 71 anni, è stato colpito da un infarto ed è attualmente ricoverato presso l’ospedale San Camillo di Roma. Le sue condizioni, secondo quanto trapelato, sono serie ma non sarebbero definite drammatiche. Trasportato d’urgenza presso la struttura sanitaria nel tardo pomeriggio di oggi, 2 aprile, Moretti è stato trasferito immediatamente in sala operatoria, appena sei minuti dopo il suo arrivo, per essere sottoposto a un intervento chirurgico urgente e salvavita.

    Dopo l’operazione, il regista è stato trasferito nel reparto di terapia intensiva cardiologica, dove al momento rimane sotto stretta osservazione medica con prognosi riservata. Non è la prima volta che Moretti affronta problemi cardiaci: soltanto pochi mesi fa, il primo ottobre scorso, aveva subito un altro infarto ed era stato trattato proprio dalla stessa équipe medica del San Camillo.

    In quell’occasione, nonostante il malore, Moretti aveva inviato un videomessaggio al pubblico del cinema Vittoria di Napoli, rassicurando tutti sulle proprie condizioni di salute: «Mi dispiace non essere lì con voi, ma sto bene. Starò meglio, tornerò presto». Il regista avrebbe dovuto partecipare alla presentazione del film “Vittoria”, diretto da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, prodotto dalla sua casa di produzione, la Sacher Film.

    Nonostante la raccomandazione dei medici a prendersi del tempo per recuperare, Moretti era tornato subito al lavoro già dal giorno successivo, presentando lo stesso film nel suo cinema, il Sacher di Roma, dimostrando ancora una volta la sua nota determinazione e passione per il cinema.

    In queste ore difficili, tutto il mondo del cinema e i fan del regista sono in attesa di ulteriori aggiornamenti sulla sua salute, sperando di rivederlo presto recuperare completamente.

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      Cinema

      Oltraggio… alla logica: Riccardo Schicchi torna a far parlare di sé, pure da morto

      La nuova edizione di Oltraggio al Pudore, autobiografia del re del porno Riccardo Schicchi, riaccende i riflettori su trent’anni di bluff, amori ungheresi, fantasmi di Moana Pozzi e porno-verità mai svelate. Tra Eva Henger, Cicciolina e i fake su Pacciani, il porno italiano degli anni ’90 non smette di scandalizzare. Riccardo Schicchi fu un visionario? Sicuramente. Un bluffatore? Anche. Un protagonista? Sempre. Ma come ogni mito, è bene leggerlo con spirito critico… e magari con una buona dose di ironia.

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        A trent’anni dalla prima uscita, Oltraggio al Pudore di Riccardo Schicchi torna sugli scaffali in una nuova edizione, rivisitata ma non aggiornata. Prefazione della porno-segretaria Debora Attanasio, postfazione di Eva Henger e tanta nostalgia per un porno italiano che fu più trash che rivoluzionario. Niente inediti, solo la voglia di santificare un uomo che ha “inventato” l’hard italiano, ma che nella seconda parte della sua carriera ha collezionato più scivoloni che successi.

        Cicciolina, Koons e l’ultima notte con Schicchi

        Tra le pagine, Schicchi racconta di Ilona Staller, la sua musa e amante per oltre 10 anni. La loro relazione non monogama finisce quando Cicciolina si innamora dell’artista Jeff Koons e lo sposa. Ma non prima di un’ultima notte di sesso, proprio mentre lei si stava preparando per andare all’altare. Tutto documentato… da lui, ovviamente. Secondo Ilona, invece, fu Schicchi a non voler figli da lei, per paura di “rovinare la fantasia” dei fan. Una lettura inquietante e rivelatrice di quanto marketing e carne potessero fondersi nel personaggio di Cicciolina.

        L’improbabile porno-verità su Moana Pozzi: la versione di Eva

        Eva Henger, altra musa-schicchiana, sgancia la bomba: “Moana non è morta nel 1994. Il 14 settembre telefonò a Riccardo dicendo che stava meglio. È morta dopo, ma ha voluto sparire prima.” Un giallo degno di un film, con Schicchi regista occulto della “morte mediatica” dell’icona Moana Pozzi. E intanto lui, l’8 settembre, la annunciava in arrivo al Mi-Sex… quando secondo la versione ufficiale era già allettata in fin di vita a Lione. Qualcuno mente. Ma chi?

        L’illusione Mercedes Ambrus: la “porno vergine”

        Tra Ilona e Eva, spunta Mercedes Ambrus. Riccardo la promuove come “la vergine del porno”. Una trovata pubblicitaria ai limiti del comico, considerando che – parole sue – “non l’ha nemmeno mai avuta”. Eppure per anni ci ha creduto. O ha finto di crederci. O entrambe.

        Il “bluff a luci rosse” con Gessica e il mostro di Firenze

        Nel declino degli anni ’90, Schicchi tenta il colpo mediatico più assurdo: spinge la spogliarellista Gessica Massaro come amante segreta di Pietro Pacciani, il presunto Mostro di Firenze. Convoca una conferenza stampa, promette un video hard mai esistito e viene ridicolizzato da tutta la stampa. Lui voleva tornare sotto i riflettori, ma finisce nella rubrica del trash. La pornografia diventa buffonata, e Schicchi ne è il protagonista stanco.

        Schicchi e il porno che (non) voleva il futuro

        Con l’arrivo del web, Schicchi si tira indietro. Rifiuta la rivoluzione digitale, resta aggrappato al porno “di una volta” e perde il controllo del suo impero. Le sue ultime produzioni sono grottesche, pasticciate, senza né eros né visione. Un crollo lento ma inesorabile, quello del pioniere che non ha saputo evolversi.M

        ito, bluff o genio del marketing?

        La nuova edizione di Oltraggio al Pudore è il tentativo postumo di riportare Schicchi al centro del dibattito culturale sul porno italiano. Ma a leggerla oggi, la sua vita somiglia più a un romanzo tragicomico che a un’epopea rivoluzionaria.

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          Cinema

          Il prossimo James Bond berrà tequila? Con Alfonso Cuarón potrebbe succedere…

          Il regista premio Oscar Alfonso Cuarón ha confermato le trattative per dirigere il prossimo film della saga di James Bond, ora nelle mani di Amazon MGM. Cosa succede quando l’eleganza britannica incontra la passione latina e se il genio dietro Roma prenderà davvero il timone?

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            Avete letto bene. Il celebre regista messicano Alfonso Cuarón ha rivelato di essere in trattativa per dirigere il prossimo capitolo dell’iconica saga di James Bond! Una notizia che ha scatenato entusiasmo e curiosità tra i fan del franchise. Dopo anni di eleganza british, intrighi internazionali e martini “agitati, non mescolati”, 007 potrebbe finalmente parlare… spagnolo?

            Da Roma a Londra (passando per Città del Messico)

            Cuarón, che non dirige un film dal 2018 — anno in cui ha trionfato agli Oscar con Roma — ha dichiarato:

            “C’è effettivamente questo progetto in discussione e ho il desiderio, se dovesse accadere, di rivisitare questa storia a modo mio”.

            Una dichiarazione che lascia intendere non solo un ritorno alla regia, ma anche un desiderio di reinventare Bond secondo la sua sensibilità cinematografica. E se pensiamo a quanto siano stati rivoluzionari film come Gravity o I figli degli uomini, il risultato potrebbe essere esplosivo.

            Amazon MGM cambia le carte in tavola

            Con l’acquisizione dei diritti della saga da parte di Amazon MGM, l’universo di 007 è pronto per una svolta epocale. I fan si aspettano innovazione, diversità e un tono meno “vecchia scuola”. Cuarón, con la sua visione umana e profonda, potrebbe essere la scelta perfetta per questa nuova era.

            Ma chi sarà il prossimo Bond?

            Ancora nessuna conferma sul volto che interpreterà James Bond, ma con Cuarón alla regia, c’è da aspettarsi un personaggio più sfaccettato, emotivamente complesso e, chissà, magari anche con radici culturali diverse. Un Bond meno freddo e più umano? Potremmo davvero essere di fronte al 007 più rivoluzionario di sempre.

            Uno 007 latinoamericano? Sì, grazie!

            Immagina le sequenze d’azione tra i mercati di Oaxaca, inseguimenti tra le piramidi maya o dialoghi intensi sullo sfondo del Día de los Muertos. Il tocco visivo e narrativo di Cuarón potrebbe arricchire l’universo di Bond con nuove prospettive culturali e visive.

            Il ritorno di un maestro

            Dopo anni di silenzio, Alfonso Cuarón potrebbe tornare dietro la macchina da presa con una delle saghe più amate al mondo. E se il progetto andasse in porto, ci aspetta un Bond mai visto prima: più passionale, più profondo, forse persino più reale.

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              Cinema

              Mel Gibson armato e pericoloso. L’America di Trump gli restituisce pistola, immunità e pure un incarico a Hollywood

              Mel Gibson riabilitato dal Dipartimento di Giustizia Usa: può tornare a possedere armi da fuoco. E Trump lo nomina “inviato speciale” a Hollywood. La cultura della vendetta trumpiana premia chi ha insultato donne, ebrei, neri e gay. E licenzia chi prova a fermare l’assurdo. Benvenuti nel remake distopico della realtà.

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                Mel Gibson può di nuovo imbracciare un’arma. Non in un film, ma nella vita vera. E già questo, se non vi fa venire i brividi, dovrebbe almeno farvi drizzare un sopracciglio. L’attore simbolo dell’ultradestra americana, condannato nel 2011 per violenza domestica, è stato graziato – sì, proprio così – dall’amministrazione Trump, che ha deciso di restituirgli il diritto al possesso d’armi. In un Paese dove una donna su quattro ha subito violenza, e dove ogni tre giorni c’è una strage a colpi di pistola, fa quasi tenerezza pensare che il problema sia la fiction violenta. Qui è la realtà a fare paura.

                Dietro la decisione non c’è solo l’assurdo, ma il metodo. La grazia è arrivata in sordina, inserita in un elenco di “cittadini speciali” selezionati dal Dipartimento della Giustizia. Tra loro, lui: Mel “ti sei meritata i denti rotti” Gibson. Mel “gli ebrei causano tutte le guerre del mondo”. Mel “se parlo con un gay prendo l’Aids”.

                A provare a fermare questa follia ci aveva pensato Elizabeth G. Oyer, procuratrice incaricata dei “pardons”. Ha detto no. Ha detto che armare un uomo condannato per violenza domestica non è solo stupido, è pericoloso. Risultato? Licenziata. Perché l’America di Trump funziona così: se osi opporre il buonsenso alla propaganda, sei fuori.

                Non basta: Trump ha anche nominato Gibson “inviato speciale a Hollywood”, con la missione di monitorare il cinema americano e riferire direttamente alla Casa Bianca. Tradotto: un occhio vigile sulla “fabbrica dei contenuti”, in perfetto stile Sorveglianza e Punizione. Nel suo team ci sono anche Jon Voight e Sylvester Stallone. Una compagnia che sembra uscita da un casting per un cinepanettone distopico: gli ex duri del grande schermo che ora fanno i guardiani ideologici a tempo pieno.

                Facciamo mente locale. Gibson non è stato cancellato per una battuta infelice o un tweet di troppo. È stato travolto da scandali, audio shock, insulti razzisti, sessisti, omofobi, antisemiti. E non in una singola serata brava, ma in un’intera carriera. La Hollywood che oggi si proclama inclusiva e progressista lo aveva messo da parte. Giustamente. Ma si sa, il tempo fa dimenticare. O almeno anestetizza. Specie quando l’onda populista travolge tutto e Mel passa da paria a paladino, da mostro a martire.

                Il colpo di scena peggiore? La Casa Bianca ha chiesto alla Corte Suprema di riesaminare la legge che vieta le armi ai condannati per violenza domestica. Perché evidentemente non basta restituire la pistola a Gibson. Ora bisogna farne un modello. Un’icona reazionaria. Un volto per il secondo emendamento, con in mano un crocefisso, un fucile e magari un microfono per sparare l’ennesima teoria complottista.

                Questa non è Hollywood. È un incubo a occhi aperti. E se Mel Gibson è l’uomo che Trump vuole in prima linea nella sua guerra culturale, allora siamo ufficialmente al punto di non ritorno. Un Paese che arma i violenti e licenzia i giusti è un Paese che ha perso il senso della decenza.

                E no, non è il trailer di Arma Letale 5. È la realtà. E fa molto, molto più paura.

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