Cinema

Mel Gibson armato e pericoloso. L’America di Trump gli restituisce pistola, immunità e pure un incarico a Hollywood

Mel Gibson riabilitato dal Dipartimento di Giustizia Usa: può tornare a possedere armi da fuoco. E Trump lo nomina “inviato speciale” a Hollywood. La cultura della vendetta trumpiana premia chi ha insultato donne, ebrei, neri e gay. E licenzia chi prova a fermare l’assurdo. Benvenuti nel remake distopico della realtà.

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    Mel Gibson può di nuovo imbracciare un’arma. Non in un film, ma nella vita vera. E già questo, se non vi fa venire i brividi, dovrebbe almeno farvi drizzare un sopracciglio. L’attore simbolo dell’ultradestra americana, condannato nel 2011 per violenza domestica, è stato graziato – sì, proprio così – dall’amministrazione Trump, che ha deciso di restituirgli il diritto al possesso d’armi. In un Paese dove una donna su quattro ha subito violenza, e dove ogni tre giorni c’è una strage a colpi di pistola, fa quasi tenerezza pensare che il problema sia la fiction violenta. Qui è la realtà a fare paura.

    Dietro la decisione non c’è solo l’assurdo, ma il metodo. La grazia è arrivata in sordina, inserita in un elenco di “cittadini speciali” selezionati dal Dipartimento della Giustizia. Tra loro, lui: Mel “ti sei meritata i denti rotti” Gibson. Mel “gli ebrei causano tutte le guerre del mondo”. Mel “se parlo con un gay prendo l’Aids”.

    A provare a fermare questa follia ci aveva pensato Elizabeth G. Oyer, procuratrice incaricata dei “pardons”. Ha detto no. Ha detto che armare un uomo condannato per violenza domestica non è solo stupido, è pericoloso. Risultato? Licenziata. Perché l’America di Trump funziona così: se osi opporre il buonsenso alla propaganda, sei fuori.

    Non basta: Trump ha anche nominato Gibson “inviato speciale a Hollywood”, con la missione di monitorare il cinema americano e riferire direttamente alla Casa Bianca. Tradotto: un occhio vigile sulla “fabbrica dei contenuti”, in perfetto stile Sorveglianza e Punizione. Nel suo team ci sono anche Jon Voight e Sylvester Stallone. Una compagnia che sembra uscita da un casting per un cinepanettone distopico: gli ex duri del grande schermo che ora fanno i guardiani ideologici a tempo pieno.

    Facciamo mente locale. Gibson non è stato cancellato per una battuta infelice o un tweet di troppo. È stato travolto da scandali, audio shock, insulti razzisti, sessisti, omofobi, antisemiti. E non in una singola serata brava, ma in un’intera carriera. La Hollywood che oggi si proclama inclusiva e progressista lo aveva messo da parte. Giustamente. Ma si sa, il tempo fa dimenticare. O almeno anestetizza. Specie quando l’onda populista travolge tutto e Mel passa da paria a paladino, da mostro a martire.

    Il colpo di scena peggiore? La Casa Bianca ha chiesto alla Corte Suprema di riesaminare la legge che vieta le armi ai condannati per violenza domestica. Perché evidentemente non basta restituire la pistola a Gibson. Ora bisogna farne un modello. Un’icona reazionaria. Un volto per il secondo emendamento, con in mano un crocefisso, un fucile e magari un microfono per sparare l’ennesima teoria complottista.

    Questa non è Hollywood. È un incubo a occhi aperti. E se Mel Gibson è l’uomo che Trump vuole in prima linea nella sua guerra culturale, allora siamo ufficialmente al punto di non ritorno. Un Paese che arma i violenti e licenzia i giusti è un Paese che ha perso il senso della decenza.

    E no, non è il trailer di Arma Letale 5. È la realtà. E fa molto, molto più paura.

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