Spettacolo
Me Contro Te e il mistero di Wikipedia: pagina oscurata e accuse di plagio tra YouTuber
Il celebre duo di creator, Sofì e Luì, si trova al centro di una doppia polemica: l’oscuramento della pagina Wikipedia e uno scontro diretto con i DinsiemE. Fan in fermento e curiosità alle stelle.
Negli ultimi giorni, cercare i “Me Contro Te” su Wikipedia significa trovarsi davanti a un messaggio di errore: la pagina è oscurata e protetta per motivi cautelativi, legati a una presunta controversia legale. La piattaforma non ha fornito ulteriori dettagli, lasciando campo libero a speculazioni.
L’oscuramento è avvenuto proprio durante la partecipazione di Sofì e Luì al programma “Chissà Chi È”, condotto da Amadeus. La notizia è stata diffusa inizialmente su X (ex Twitter) da un utente attento, scatenando un acceso dibattito tra i fan.
Il dissing con i DinsiemE
Parallelamente, i Me Contro Te sono finiti in un’altra polemica, questa volta con il duo di YouTuber noto come i DinsiemE. Nel loro podcast, Sofì e Luì hanno accusato i colleghi di aver copiato alcune delle loro idee, innescando un botta e risposta acceso.
Le due coppie di creator, entrambe seguitissime dai più giovani, sono ora protagoniste di una guerra a colpi di dichiarazioni e frecciatine, con il pubblico diviso tra le due fazioni.
Il nuovo film e l’hype alle stelle
In mezzo alle polemiche, i Me Contro Te continuano a cavalcare l’onda del successo, grazie all’imminente uscita del loro nuovo film, “Cattivissimi a Natale”. Il lungometraggio, previsto per le festività, è già tra i più attesi dai loro giovanissimi fan.
Conclusioni? Non per ora
Le polemiche e i misteri attorno ai Me Contro Te sembrano destinati a far discutere ancora a lungo. Nel frattempo, la loro popolarità resta inossidabile, alimentata da uno storytelling che, tra cinema e social, non lascia mai indifferenti.
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Personaggi e interviste
Serena Grandi si racconta: “Agnelli mi fece trovare una vasca di rose, ma mi pento di non aver fatto il bagno”
L’attrice si confessa a cuore aperto parlando degli amori, dei rimpianti e della sua battaglia contro il cancro al seno. Tra flirt con personaggi famosi e un presente sereno, l’icona della commedia sexy italiana svela retroscena inediti.
Serena Grandi, icona della commedia sexy all’italiana, ha aperto il suo cuore in un’intervista con Monica Setta. Dimagrita e raggiante, l’attrice ha ripercorso i momenti salienti della sua carriera e della sua vita privata, toccando argomenti che spaziano dagli amori intensi ai flirt con personaggi celebri come Adriano Panatta e Giovanni Agnelli, fino alla sua lotta contro il cancro al seno.
Tra rose e champagne: un invito da favola con Agnelli
Serena ha rivelato un aneddoto curioso e affascinante legato al suo incontro con Giovanni Agnelli. “Mi invitò una volta a casa sua e mi fece trovare una vasca riempita di rose e champagne. Mi rifiutai di fare il bagno, ma un po’ me ne sono pentita,” ha confessato con un sorriso. Un momento che, pur restando nei confini della fantasia, ha lasciato un ricordo indelebile nella mente dell’attrice. Con Agnelli, ha detto, c’era una grande complicità, sebbene non si sia mai trasformata in una vera e propria storia d’amore.
Silvio Berlusconi e la promessa mantenuta
Tra i racconti di Serena, spicca anche il legame con Silvio Berlusconi, che le promise una brillante carriera nel mondo del cinema. “Appena mi vide, promise che sarei diventata la regina del cinema e fu di parola,” ha ricordato l’attrice, che ha anche raccontato un episodio legato a Scherzi a parte: “Mi fecero uno scherzo che mi aveva irritato, lui lo seppe e mi fece recapitare a casa un gioiello bellissimo con un biglietto di scuse.” Un gesto che dimostra quanto Berlusconi abbia sempre mantenuto fede alla sua parola, riconoscendo il talento e la personalità di Serena.
Un matrimonio turbolento e la nuova serenità
L’attrice ha parlato anche del suo matrimonio con Beppe Ercole, da cui è nato suo figlio Edoardo. Un’unione segnata da infedeltà e delusioni, tanto che, con tono ironico, ha rivelato: “Perfino al battesimo di nostro figlio Edoardo c’erano tante amiche con cui Beppe era andato a letto.” Nonostante la separazione, Serena ha raccontato di aver mantenuto un rapporto di rispetto con Corinne Clery, che ha poi sposato Ercole. “Corinne lo amava davvero,” ha ammesso, senza rancore.
La lotta contro il cancro e il sospiro di sollievo
L’attrice ha poi affrontato uno dei capitoli più difficili della sua vita, la battaglia contro il cancro al seno. “Ho avuto un terribile tumore al seno, mi sono operata e vivo con una sola mammella perché non ho voluto la ricostruzione,” ha spiegato, svelando anche la paura di un recente falso allarme. “C’erano dei sospetti sull’altro seno, ho fatto tutte le analisi di corsa e non era niente. Ma la paura è stata forte.” Un racconto toccante che evidenzia la forza e il coraggio con cui Serena ha affrontato la malattia.
Un nuovo amore e la voglia di vivere
Oggi Serena sembra aver ritrovato la serenità accanto a un ricco uomo inglese, che le ha già regalato un prezioso bracciale tempestato di brillanti. “Mi ha già fatto un pegno d’amore,” ha detto mostrando il gioiello alla Setta. Dopo tante tempeste, l’attrice si gode finalmente un momento di tranquillità e felicità, consapevole che la vita è fatta di alti e bassi, ma sempre pronta a vivere ogni emozione con passione e intensità.
Speciale Festival di Sanremo 2025
Fedez tra rime e citazioni discutibili, Brunori SAS poeta: l’Accademia della Crusca analizza i testi di Sanremo e boccia la banalità del Festival
Mentre la maggior parte dei testi di Sanremo 2024 si perde in strutture ripetitive che mancano di originalità, solo pochi artisti emergono con un linguaggio ricercato e autentico. Il cantautore calabrese domina con un testo raffinato e poetico, tra figure retoriche eleganti e immagini evocative, mentre l’Accademia della Crusca boccia senza appello le liriche più piatte e prevedibili del Festival.
e c’è un testo che si distingue su tutti, è quello di Brunori SAS. Senza discussioni. Parola di Accademia della Crusca, la maggiore autorità nazionale nel campo della lingua italiana. Il professor Lorenzo Coveri, ex docente di linguistica italiana all’Università di Genova, negli anni si è specializzato proprio nel festival e nell’esame dei testi e delle parole della canzoni in gara. E non ha dubbi: il cantautore calabrese – a pari merito con Lucio Corsi – almeno per quest’anno è il top di gamma. Il livello della scrittura, l’intensità delle immagini, la profondità del messaggio: siamo davanti a un vero capolavoro d’autore. Poi, ovviamente, ci sono tutti gli altri.
“Non mi piace distribuire numeri. Intendo voti, non cifre a caso.” Il professore conferma il trend degli ultimi anni. Il Festival non lo ascolta: lo legge. “Valutiamo solo i testi, senza musica” spiega. “Una volta cantati, certe parole assumono un altro significato, a volte migliorano, altre peggiorano. Ma noi li prendiamo nudi e crudi.”
A che punto siamo con questa edizione? “Brani piatti, giudizi piatti. Mi adeguo. Probabilmente il problema è la solita stretta cerchia di autori: una manciata di nomi firma due terzi delle canzoni. Questo porta inevitabilmente a un’omogeneità che rende il tutto monocorde.”
Un’impressione generale? “Un Festival a bassissima gradazione rock. E con pochissimi cantautori: Brunori e Lucio Corsi si salvano. I rapper? Si adattano al mainstream, senza provocazioni. Persino Tony Effe si cimenta in uno stornello innocuo. E il resto – l’80% delle canzoni – è intriso di un linguaggio popolare, colloquiale, senza guizzi particolari. Qualche rara eccezione si distingue.”
Che voto diamo a Conti per le canzoni scelte? “Si colloca nel solco dei cinque anni di Amadeus, cercando di dare spazio a tutti i generi: a ben guardare, però, la quota cantautori è ristretta… Insomma siamo nel pieno del pop: di tutto un pop, potremmo dire. E c’è ben poco da scandalizzarsi. Voto? Dal punto di vista dei testi arriviamo a 6. Ma stiracchiato…”.
Chi emerge? “Brunori SAS, senza dubbi. Gli ho dato 9. Il suo è un testo letterario, ricco di immagini evocative, pieno di figure retoriche raffinate. Nel suo L’Albero delle Noci Brunori, da cantautore classico, celebra, con un testo nettamente autobiografico, l’arrivo della figlia Fiammetta, con invenzioni e immagini molto belle, a parte qualche tratto del passato come rime baciate. Racconta la paternità con sensibilità e profondità.”
Otto anni fa cantava: “In fondo va tutto bene mi basta solo non fare figli”. Contraddizione? “Forse. Ma lo fa con immagini potenti, mai banali: ‘io come sempre canguro tra passato e futuro’, ‘la neve mescolata al miele’. Ha una lingua sontuosa, anche se a tratti scivola nel sentimentalismo.”
E Lucio Corsi? “Una ventata d’aria fresca. Anche lui 9. Ha una scrittura brillante, un uso intelligente del linguaggio giovanile, giochi di parole riusciti. Spiazza e diverte.” Un rapper che ha sorpreso? “Shablo. Gli ho dato un voto alto, tra il 7 e l’8. Originale, fuori dagli schemi, “è interessante soprattutto per i linguisti perché pesca a piene mani nel gergo dell’hip hop: è una street song, tu fai chatty chatty io faccio parlare il mio flow, è rap e blues e gin e juice, si gioca anche con le rime in funzione ironica.”
Simone Cristicchi? “Il tema del figlio che si prende cura dei genitori anziani non è particolarmente nuovo. Funzionerà in gara, come lo scorso anno Mr Rain. Commovente, ma non eccezionale. Quasi un 7.”
E Gabbani? “Due volte vincitore, sa stupire. O meglio, sapeva. Stavolta si è rifugiato nell’ottimismo alla Jovanotti, con un testo piatto: la vita, il battito, la routine. Peccato.” Chi invece affonda? “I Modà. Testo pesante, ridondante, più simile a una predica che a una canzone. Versi interminabili e complicati: ‘convivere con il senso di che sarebbe stato’. Risultato? Si fa fatica ad ascoltare. E Marcella Bella non migliora la situazione.”
Marcella Bella? Ma è un’istituzione! “Sì, però quando scrivi: ‘Dici che come me non ne trovi nessuna, sì vabbè poi però lo ripeti ad ognuna’… ecco, se questo è un testo di valore. Voto? 4.” Però la sua è una canzone politica, femminista. “Sì, ma di quel femminismo di facciata, costruito a tavolino.” Elodie? “Voto 5. Testo poverissimo, sembra la trascrizione di una telefonata. Non c’è ritmo, non c’è melodia nelle parole. Speriamo nella musica.”
I favoriti secondo i bookmakers? “Giorgia ha la voce più bella, ma il testo è scolastico. Metafore trite e ritrite, immagini prevedibili. Sufficiente solo per rispetto alla sua carriera. Massimo Ranieri, invece, ha autori illustri, Tiziano Ferro e Nek, eppure il risultato è fiacco. Metafore da dimenticare. 5 politico.” E Olly? “Un 6 stiracchiato. Linguaggio troppo comune, nessun colpo di scena.”
Fedez? “Sei anche a lui, ma per demerito generale. Testo cupo, sulla depressione, con qualche gioco di parole riuscito, ma rime discutibili: ‘carne viva – mente schiva’. Cita Mary Poppins con il cianuro al posto dello zucchero. Boh.” Il duetto con Masini su “Bella stronza” sarà tra i momenti più attesi. “Vedremo se riuscirà a schivare le polemiche. Intanto nella copertina di Tv Sorrisi e Canzoni l’hanno piazzato tra Tony Effe e Achille Lauro. Una coincidenza?”
Una citazione merita Willie Peyote, che in Grazie Ma No Grazie “affronta tempi più impegnati, a sfondo sociale. In genere le canzoni di Sanremo, come i critici hanno notato, quest’anno parlano soprattutto di amore, preferibilmente sfortunato, e di disagio, a anche di depressione, come nel testo di Battito di Fedez. Evidentemente la misura del nostro tempo è proprio questa”.
E Tony Effe? “Serve una nota sul dialetto: sarebbe vietato al Festival, eppure lui col romano, Rocco Hunt col napoletano e Serena Brancale ne fanno ampio uso. Lei dice di omaggiare Pino Daniele, ma dell’omaggio non c’è traccia. Quanto a Tony Effe, niente volgarità, niente provocazioni. Solo una cartolina di Roma per turisti. Voto? 5.”
E Bresh, con La Tana del Granchio: “Con l’aiuto della banca dati Le parole di Sanremo (a cura di Massimo Arcangeli e Luca Pirodda, ndr) possiamo rilevare che tana è apparso una sola volta al festival, in un testo del 1996, e granchio è un hapax, ossia una novità assoluta”. Inedito è anche il titolo Cuoricini dei Coma_cose, “mai usato prima a Sanremo, che sembra anche alludere a un certo understatement rispetto all’inflazionatissimo cuore”.
Una chiusa obbligata: a Sanremo le parolacce sono off-limits. “Eppure ‘fottere’ l’ho trovata in quattro testi. Alla faccia della censura.”
Cinema
Nightbitch: il lato oscuro della maternità in un film che gli uomini dovrebbero vedere
Tratto dal romanzo di Rachel Yoder, il film diretto da Marielle Heller, offre uno sguardo crudo e realistico su un’esperienza spesso edulcorata: la maternità può essere un inferno.
Prima o poi finiscono: la stanchezza, le occhiaie, le docce ridotte a una a settimana, i capelli informi, secchi, messi su con la pinza, i pantaloni sempre più stretti, la pancia sempre più molle. La bruttezza fa parte della maternità media, quella che non può contare su eserciti di baby sitter e colf, quella che deve fare i conti con i conti. È uno stato provvisorio travestito da eternità.
In programmazione su Disney+
È una metamorfosi che comincia con gli zuccherini della gravidanza: tutti attenti, tutti prodighi. “Non ti stancare, non sollevare, non ti piegare”. Nightbitch, in programmazione su Disney+ solleva il velo di mussola nero dai volti delle madri, tutte le madri, scoprendo che sotto non sorridono, non sorridono affatto.
Allevamento fa rima con annientamento
Per allevare ti devi annientare, arrivare allo stato brado, toccare quel famoso fondo (scoprendo che, diamine, se è lungo). Devi essere terribile: sempre curva (altezza bambino), sempre struccata, ciabattata, pallida, nervosa. Ti devi sfinire, devi sfiorire, lasciar tracimare la rabbia nel momento meno adatto, così che tutti ti guardino con compassione, mormorando: “Che ha? Che le prende?” Occhiate di curiosità, pena, disgusto. Diventi madre ed è come se una navicella scendesse nel tuo salotto color crema, con i faretti incistati nel cartongesso, e trasformasse le tue parole in fonemi sumeri, così che nessuno possa mai più comprendere l’ovvio. E cioè che sei stanca, che hai sonno e hai bisogno di una mano. Una mano.
Regressione animalesca
Ad Amy Adams è cresciuta persino la coda. Ha persino ammazzato il suo gatto, sbranandolo. Mangia da una ciotola, indossa solo Birkenstock (le scarpe da libido sotto le suole – sì, sono comode, ma quelle sono), ha il fiuto di un cane. È un cane. La maternità l’ha trasportata in uno stato primordiale fatto di istinto: di giorno cotolette e giochini, di notte prede da cacciare e succhiare fino al midollo. Per la parte della madre in Nightbitch, film diretto da Marielle Heller (La regina degli scacchi), l’attrice ha messo su venti chili, necessari per entrare nella parte di una donna – un’artista, almeno questo era prima di partorire – sposata con un uomo distratto, sempre lontano per lavoro, costretta a vivere da casalinga con un pupo di due anni attaccato alle gambe e una dieta scandita da fettine panate.
Condannata alla routine
Le giornate sono tutte uguali, giorno dopo giorno. Una noce di burro sulla padella di ghisa bollente, la cotoletta che sfrigola. Poi il giro al parco, l’altalena, la passeggiata, l’incontro in libreria con le altre mamme e i loro bimbi urlanti e bavosi. La notte nel lettone, col bimbo che non dorme, mai. Che urla, sempre. Che accoglie la supplica: “Fammi dormire, ti prego” con un calcio nella schiena. C’è amore, non c’è rimpianto, ma voglia di tempo per sé stesse sì, voglia di dire: amo essere madre, ma amo anche me, quello che voglio, quello che mi rende quella che sono, che ero.
Il libro dal quale è tratto il film
“Voglio correre a perdifiato nei campi di granoturco, raggiungere un ruscello e seguirlo fino al mare. Scusate, ma non tornerò mai più. Voglio fare sesso molto, molto sfrenato con uno sconosciuto. Voglio sedermi senza mutande su una torta tutta bella decorata. Voglio performare un grande gesto anonimo di vandalismo estremo. Voglio essere un’artista e una donna e una madre, cioè un mostro. Voglio essere un mostro”. È un passo dal romanzo di Rachel Yoder (Mondadori), da cui il film è tratto. Una storia che offre una chiave di lettura realisticamente fantastica al tormento sotterraneo di una cosmogonia al femminile fatta di contraddizioni evidenti, di lotte intestine tra simili, di disprezzo verso sé stesse per l’accoglimento di ruoli stereotipati il cui mancato accollo, però, ingenera sensi di colpa pachidermici.
Amore… va tutto bene?
Se non ti occupi del tuo bambino fino ad annullarti, sei una cattiva madre. Questo è
quanto. Questo è il mantra comune, consolidato, tramandato nei secoli dei secoli. Amen.
Chiaro è il comando annodato nel filamento del DNA femminile, che tre decenni e più di ribellioni al sacrificio unilaterale, non è riuscito a sciogliere. Se la metafora della bestialità – Adams che si trasforma e diventa un cane, un essere che bada ai bisogni primari della propria sopravvivenza – è grottesca e paradossale, veritiera e dolorosa è la reazione del marito (Scoot McNairy), a cui il sacrificio della moglie, che ha rinunciato a una carriera e alla sua ambizione per annullarsi in favore del figlio, era invisibile. L’uomo si era accomodato nella facile posizione dell’accondiscendenza passiva, pigra, ridotta a una domanda: “Tutto bene?” Rivolta alla moglie visibilmente stremata, stressata, schiacciata, che con un sorriso rispondeva meccanicamente: “Sì, tutto bene. Non preoccuparti, caro” con lo sguardo del sequestrato costretto a ripetere un
messaggio con una pistola puntata alla tempia. L’improvvisa consapevolezza del baratro che si nasconde dietro quella rassicurazione lo porta a un’epifania straordinaria: comprende che no, non va tutto bene. Come poteva essere diversamente?
Si consiglia la visione al pubblico maschile
Sua moglie ha messo venti chili, è sfatta, tramortita, neanche riesce a fare uno shampoo,
non lavora, non cura nulla che non sia quel bambino. Come poteva essere tutto ok? Come? Come ha potuto non pensarci tra una trasferta e una partita alla PlayStation? Finalmente ha compreso che sbilanciare un rapporto, lasciando tutto il peso da una parte è solo l’inizio della fine. Ha avuto l’illuminazione: se il latte è finito, basta uscire e comprarlo. Perché la natura ci ha donato gambe per raggiungere le destinazioni necessarie, mani per rifare il letto, cullare il figlio, mettere su un piatto di pasta. A prescindere dal sesso. Il film è importante per il messaggio che, dopo anni di maternità fatta di confetti e baby shower, regala alle donne. Ma soprattutto agli uomini. Bisogna guardare in faccia la realtà: la maternità è un inferno. Ma se ne esce.
Alessia Principe
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