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Musica

L’incredibile storia de “L’arcobaleno”, la canzone che Battisti avrebbe dettato a Mogol dall’aldilà

Negli ultimi giorni è tornata alla ribalta una vicenda affascinante e al limite del paranormale: Mogol, storico paroliere e amico di Lucio Battisti, ha raccontato al Corriere della Sera un episodio che ha dell’incredibile. Secondo quanto dichiarato, sarebbe stato proprio Battisti – scomparso nel 1998 – a contattarlo dall’aldilà, tramite una medium, per consegnargli una nuova canzone: “L’arcobaleno”, interpretata da Adriano Celentano e pubblicata nel 1999 nell’album “Io non so parlar d’amore”.

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    Tutto comincia quando una medium di Sassuolo si mette in contatto con la segretaria di Mogol, affermando di avere un messaggio urgente da parte di Battisti. Mogol, inizialmente scettico, decide di ignorare la richiesta. Tuttavia, qualche giorno dopo, sfogliando una rivista, nota una fotografia di Lucio circondato da un arcobaleno. Un dettaglio apparentemente banale, ma che gli provoca un forte turbamento.

    L’episodio spinge Mogol a incontrarsi con Adriano Celentano, Claudia Mori e Gianni Bella. Durante quel pranzo, Bella gli fa ascoltare una melodia che aveva già composto: Mogol sente immediatamente che quella musica è perfetta per il testo che aveva iniziato a scrivere. Pochi giorni dopo, in auto da Lodi a Milano, completa il brano in soli 15 minuti. La chiave del testo arriva quando un arcobaleno appare proprio davanti a lui, attraversando l’autostrada: “L’arcobaleno è il mio messaggio d’amore / può darsi un giorno ti riesca a toccare”.

    Un successo immediato: Celentano e L’arcobaleno

    Pubblicata nel 1999, L’arcobaleno diventa subito un successo. La voce intensa di Celentano, unita alla suggestione del testo e alla storia che la precede, trasformano la canzone in un vero inno alla spiritualità, all’amicizia e alla memoria. Il brano si apre con versi che sembrano proprio un messaggio postumo da parte di Battisti:

    “Io son partito poi così d’improvviso
    Che non ho avuto il tempo di salutare
    L’istante è breve, ancora più breve
    Se c’è una luce che trafigge il tuo cuore…”

    Le polemiche: la verità sulla medium e la lettera della moglie di Battisti

    La vicenda ha suscitato forti reazioni. Paola Guidelli, indicata inizialmente come la medium, ha poi dichiarato a Rockol di non essere mai stata realmente in contatto con lo spirito di Battisti. Ha spiegato che il suo gesto era motivato solo da una grande stima verso l’artista.

    Anche la famiglia di Battisti non è rimasta in silenzio. Grazia Letizia Veronese, vedova del cantautore, ha pubblicato una dura lettera in cui ha espresso dissenso per il modo in cui è stata raccontata la storia, facendo luce su aspetti privati e controversi del rapporto tra Mogol e Battisti, interrotto da tempo e per motivi, a quanto pare, economici.

    Un sogno, un arcobaleno e un’immagine simbolica

    Non meno suggestiva è la parte della storia che coinvolge Giulio Caporaso, direttore del magazine Firma. Dopo aver partecipato a un concerto tributo in onore di Battisti, Caporaso sogna di incontrarlo su una spiaggia sotto un arcobaleno. Il giorno dopo commissiona un’immagine di Lucio con l’arcobaleno, la stessa che tanto colpì Mogol. Il cantautore, nel sogno, gli avrebbe detto: “L’arcobaleno rappresenta l’alleanza tra Dio e l’uomo”.

    Tra mito, memoria e musica

    Quella di L’arcobaleno non è solo la storia di una canzone, ma di un legame profondo tra due anime artistiche. È un racconto che unisce amicizia, spiritualità e musica, destinato a restare impresso nella memoria collettiva.

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      Musica

      Le canzoni della Resistenza: la colonna sonora del 25 aprile

      Dai canti partigiani ai brani contemporanei, un viaggio tra note e parole che tengono viva la voce della Liberazione

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        Non è festa, il 25 aprile. È una promessa. Un giuramento collettivo, sottoscritto ogni anno da chi sa che la libertà è una conquista da difendere giorno per giorno. E la musica, come spesso accade, è il veicolo più potente per custodire la memoria e tramandarla. Perché se le parole si dimenticano, le canzoni no.

        A fare da apripista, naturalmente, è “Bella Ciao”. Non un semplice canto partigiano, ma l’inno universale dell’antifascismo. Nato dal cuore della Resistenza italiana, cantato sulle montagne e nelle piazze, oggi è stato reinterpretato in mille versioni, ma quella dei Modena City Ramblers resta una delle più iconiche. Una bandiera sonora, capace di attraversare le generazioni.

        Accanto a lei, “Fischia il vento”, scritto dal medico e poeta Felice Cascione, suona come una marcia solenne verso l’ideale. La versione di Maria Carta restituisce tutta la forza struggente di quel canto, con versi che non lasciano spazio all’equivoco: “E se ci coglie la crudele morte / Dura vendetta verrà dal partigian”.

        C’è poi “Oltre il ponte”, firmata da Italo Calvino e musicata da Sergio Liberovici: “Avevamo vent’anni e oltre il ponte… tutto il bene del mondo avevamo nel cuore”. Parole che fotografano il coraggio di una generazione che ha scelto da che parte stare.

        Ma non è solo il passato a cantare. “Guardali negli occhi” dei C.S.I., contenuta nella raccolta “Materiale resistente 1945-1995”, è una testimonianza diretta di quanto la Resistenza non sia affare d’archivio, ma materia viva. “Perché se libero un uomo muore, non importa di morire”, canta Giovanni Lindo Ferretti, e il verso resta scolpito nell’anima.

        Anche Francesco Guccini, in “Quel giorno d’aprile”, rievoca la Liberazione con lo sguardo del bambino che era: “L’Italia cantando ormai libera allaga le strade…”. La musica si fa racconto, memoria intima e collettiva.

        Lo stesso vale per “La Libertà” di Giorgio Gaber, una riflessione profonda, quasi filosofica, sulla libertà come scelta e responsabilità. E per “Le storie di ieri” di Francesco De Gregori, scritta nel cuore degli anni ’70 e reinterpretata anche da Fabrizio De André, che mette a nudo il rischio del ritorno dei fantasmi del passato.

        A proposito di De Gregori, “Viva l’Italia” è una canzone che andrebbe insegnata a scuola: “L’Italia liberata… l’Italia che resiste”. Un atto d’amore per un Paese imperfetto, ma capace di rinascere.

        La voce ironica ma profondamente tragica di Enzo Jannacci in “Ma Mi”, brano scritto da Giorgio Strehler, racconta in dialetto milanese il dolore e la dignità di chi ha resistito senza mai tradire.

        Poi ci sono gli anni recenti, quelli in cui la memoria ha dovuto cercare nuove forme. “Liberi tutti” dei Subsonica e Daniele Silvestri è una di queste: una fuga a tutta velocità dalle catene invisibili del presente. Un grido contro l’omologazione, un invito a resistere.

        Infine, “Lettera del compagno Laszlo al colonnello Valerio” di Giorgio Canali. Una canzone cruda, diretta, che restituisce l’eco della giustizia sommaria che ha chiuso il ventennio fascista. Una voce fuori dal coro, ma necessaria.

        Ecco, il 25 aprile è anche questo: un jukebox della memoria. Una playlist che pulsa sotto la pelle dell’Italia, tra bande musicali, vinili graffiati e playlist Spotify. Ogni nota, un fiore sul sentiero della libertà.

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          Musica

          Gli Who riaccolgono il figlio di Ringo Starr, Zak, nella band: “Siamo una famiglia”

          Dopo giorni di incertezza e voci contrastanti, arriva la conferma: Zak Starkey non è stato escluso dagli Who. Il figlio di Ringo Starr continuerà a collaborare con la leggendaria band. Pete Townshend chiarisce i malintesi e racconta cosa è realmente accaduto dietro le quinte.

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            Qualche giorno fa, una notizia aveva fatto tremare i fan storici dlla band inglese: Zak Starkey, batterista della formazione dal 1996 e figlio di Ringo Starr, sembrava essere stato allontanato dai progetti futuri del gruppo. Un post sui social dello stesso Starkey, in cui si dichiarava “sorpreso e rattristato”, aveva lasciato intendere un addio improvviso e doloroso.

            Il chiarimento di Pete Townshend: “Non è stato licenziato”

            A riportare la calma tra fan e addetti ai lavori è intervenuto direttamente Pete Townshend. In un lungo messaggio pubblicato online, il chitarrista degli Who ha spiegato come la situazione sia stata causata da un malinteso: “Non gli abbiamo mai chiesto di lasciare la band. Ci sono stati problemi di comunicazione da entrambe le parti, ma sono stati chiariti serenamente”.

            Secondo quanto raccontato da Townshend, i recenti concerti per il Teenage Cancer Trust alla Royal Albert Hall sarebbero stati più complessi del previsto anche a causa di soundcheck poco curati. In quell’occasione, alcuni errori di esecuzione avevano acceso le tensioni, ma tutto è stato risolto a livello personale e professionale.

            Zak resta nella band… ma con qualche cambiamento stilistico

            Gli Who stanno lavorando a una nuova formazione “senza orchestra” e, per questo, i due membri fondatori Daltrey e Townshend hanno chiesto a Zak di adattare il proprio stile, rendendolo più preciso e funzionale al nuovo assetto sonoro. Starkey ha accettato con disponibilità, dimostrando ancora una volta il suo attaccamento alla band.

            Il ruolo di Scott Devours e le scuse pubbliche

            Durante la polemica, era circolato il nome di Scott Devours, batterista solista del vocalist Roger Daltrey, come possibile sostituto. Pete Townshend ha voluto chiarire che non c’era alcuna intenzione di sostituire Starkey con Devours. Chiedendo pubblicamente scusa a quest’ultimo per non aver spento le voci in tempo. “Gli offrirò da bere per molto tempo e lo abbraccerò”, ha dichiarato con ironia ma anche sincero affetto.

            Gli Who restano una famiglia

            L’episodio dimostra quanto le dinamiche interne a una band storica possano essere complesse. Ma anche quanto forte possa essere il legame che tiene unito un gruppo dopo decenni. Gli Who vanno avanti, con Zak Starkey alla batteria e uno spirito rinnovato. I fan possono tirare un sospiro di sollievo: la leggenda continua, senza rotture. Li vedremo presto in Italia in due date: il 20 luglio allo Stadio Euganeo di Padova e il 22 a Milano presso il Parco della Musica.

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              Musica

              Anche la musica pop si ferma per la scomparsa del papa: Jovanotti sospende il tour

              A seguito della scomparsa di Papa Francesco e della proclamazione del lutto nazionale, Jovanotti decide di posticipare una delle date del suo tour romano. La scelta dell’artista ha suscitato rispetto e consenso. Ecco tutti i dettagli sul rinvio e sulle modalità di rimborso

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                Il tour di Jovanotti, tra i più attesi del 2025, ha subito una variazione significativa: il concerto previsto per sabato 26 aprile al Palazzo dello Sport di Roma è stato ufficialmente posticipato. A determinare la modifica è stato un evento di portata mondiale: la morte di Papa Francesco e la conseguente dichiarazione di lutto nazionale fino al 27 aprile. Nonostante le rassicurazioni iniziali sulla conferma delle date, l’artista e il team organizzativo hanno scelto di onorare la memoria del Santo Padre con un gesto di profondo rispetto.

                La decisione di Jovanotti: rispetto prima di tutto

                È stata Trident, la società organizzatrice del tour, ad annunciare il rinvio attraverso un comunicato ufficiale. “Il concerto del 26 aprile è rinviato al 27 aprile, in segno di rispetto per le esequie del Santo Padre,” si legge nella nota. La scelta è stata accolta con maturità e comprensione dai fan, molti dei quali si sono detti toccati dal gesto dell’artista.

                Biglietti validi e rimborsi: cosa devono sapere i fan

                I biglietti già acquistati per la data del 26 aprile rimangono validi per il concerto del giorno successivo, domenica 27 aprile 2025. Per chi invece non potesse partecipare, sarà possibile richiedere il rimborso a partire dalle ore 10:00 di mercoledì 23 aprile fino alle ore 18:00 di giovedì 24 aprile. La richiesta dovrà essere inoltrata tramite i siti ufficiali di Ticketone e Ticketmaster. Coloro che hanno comprato i biglietti presso punti vendita fisici, dovranno recarsi direttamente al punto vendita per ottenere il rimborso.

                Il legame tra musica, fede e rispetto

                Quella di Jovanotti non è solo una scelta organizzativa, ma un segnale importante di empatia e connessione con il sentire comune. In un momento di lutto collettivo, l’artista ha preferito fermarsi. Offrendo in questo modo una pausa di riflessione anche a chi vive la musica come momento di gioia e condivisione.

                Un segno di rispetto che rispecchia il lutto di una nazione

                Il rinvio del concerto del PalaJova non rappresenta un ostacolo, ma un’occasione per dimostrare che anche il mondo dello spettacolo può fermarsi per rispetto e sensibilità. Jovanotti, ancora una volta, si conferma non solo come artista amatissimo, ma come figura pubblica capace di interpretare il sentimento di un’intera nazione.

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