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Musica

Speciale Umbria Jazz Winter 2024/25. Il jazz crea connessioni e unisce

Dal Duomo di Orvieto illuminato a tempo di musica al talento di artisti emergenti come Francesca Tandoi e Ekep Nkwelle, passando per l’energia travolgente della street parade dei Funk Off, Umbria Jazz Winter ha offerto cinque giorni di spettacoli indimenticabili. Una manifestazione che non è solo musica, ma anche un’occasione di connessione culturale e crescita per il turismo e l’economia locale.

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    di Antonello Romano

    Il jazz è nato agli inizi del XX secolo come evoluzione di forme musicali già utilizzate in precedenza dagli schiavi afroamericani e se nel mondo, l’insana follia di taluni individui spinge gli uomini e le donne a dividersi, la sana follia degli artisti, viceversa, fa di tutto per unire e tanto più lo fanno i musicisti appartenenti ad uno dei generi musicali che più di ogni altro è il simbolo dell’inclusivita’.

    Con le sue regole e la sua intrinseca capacità di creare connessioni, il jazz può educare e sensibilizzare, offrendo un contesto inclusivo per uomini e donne di ogni età e appartenenza, unendo artisti, appassionati e persino semplici spettatori “di passaggio“.

    E’ un genere musicale multietnico, che contribuisce a crearecomunità più solidali e sostenibili, che non conosce confini e in cui la creatività e il talento dell’improvvisazione si esprimono all’estremo limite del virtuosismo, e che accomuna, in una colonna sonora senza fine e senza tempo, popoli, culture e tradizioni diversi, in perfetta armonia tra loro, musicalmente, ma anche socialmente.

    Mai come quest’anno, il clima di incertezza e di paura dovuto al contesto geopolitico internazionale, ha fatto sì che si sentisse, proprio durante le festività natalizie, un crescente bisogno di essere destinatari e al tempo stesso portatori, di messaggi di serenità e di pace, e la musica jazz, proprio per le sue stesse origini, svolge un ruolo affatto secondario nel ridare la speranza per un mondo più sano, più libero e più inclusivo.

    Il festival jazz più importante d’Europa, sicuramente uno tra i più importanti e conosciuti nel mondo, Umbria Jazz Winter, giunto alla sua 31ª edizione è riuscito, anche quest’anno, a emozionare e coinvolgere in un’atmosfera magica di suoni e di colori, i tantissimi appassionati italiani e stranieri, ma anche i numerosissimi turisti che hanno invaso per cinque giorni, l’altra “capitale” degli etruschi, Orvieto, dove si trovava il celebre Fanum Voltumnae, il santuario federale dell’intera lega etrusca, per assistere agli oltre cento concerti che si sono svolti nelle diverse locations della città.

    La città umbra, posta in cima ad una rupe tufacea, ha accolto il ricco programma di eventi musicali tutti sold out che, Carlo Pagnotta, storico ideatore e Direttore artistico della manifestazione, ha preparato per quello che ha definito – “una vera chicca” – sottolineando il ruolo unico che il festival riveste in – “una città dalle dimensioni contenute, ma dalla grande tradizione culturale”.

    Tornare a Orvieto è sempre una magia” – ha dichiarato Pagnotta. Tutto esaurito nei 5 giorni nei quali si è svolta l’importante e qualitativa kermesse internazionale: dagli alberghi ai ristoranti, non solo in città, ma anche nei dintorni – “e questo – afferma Pagnotta – dimostra il successo della formula di Umbria Jazz Winter che, da 31 anni, continua a conquistare il pubblico”.

    A completare il clima di festa in città anche le uscite giornaliere, per le vie del centro storico orvietano, della popolare street parade dei Funk Off, molto apprezzata dai cittadini e dai turisti, che hanno seguito i musicisti della band ovunque andasse e si soffermasse a suonare; una vera bomba musicale di energia, che ha attraversato il centro storico della città.

    I concerti al Palazzo del Capitano del Popolo e al Palazzo dei Sette, sovrastato dalla Torre del Moro, hanno offerto momenti di grande professionalità artistica.

    Emozionante e coinvolgente al Teatro Mancinelli, la nuova produzione dell’Umbria Jazz Orchestra con Ethan Iverson che , per l’occasione, ha arrangiato un repertorio unico e appassionante, dedicato alle grandi musiche del cinema, accompagnato dal trio di Emmet Cohen.

    Pagnotta ha sottolineato anche il cambiamento del jazz nel corso dei decenni. “Molti maestri non ci sono più, ma nuove generazioni di musicisti hanno studiato e continuano a mantenere vivo il genere” – ha spiegato.  Per il Direttore artistico, il futuro del jazz è inequivocabilmente solido: “Come la musica classica e l’opera, anche il jazz resisterà nel tempo, continuando a evolversi e affascinare”.

    Molto apprezzati dal pubblico, anche le performance più innovative come “The feeling of jazz”, un racconto di Guido Barlozzetti, accompagnato dal contrabbasso di Enzo Pietropaoli e le magiche sonorità percussive di Michele Rabbia. Un nuovo modo di raccontare il  secolo del ‘900 attraverso la storia del  jazz, declinato utilizzando il linguaggio multimediale e digitale e in grado di fornire emozioni forti alla pari di quelle che solitamente si sprigionano, ad esempio, ascoltando la potenza musicale di George Gershwin con la sua “Rhapsody in Blue”.

    Sempre in tema di novità e di nuove generazioni, più volte definite da Carlo Pagnotta come la preziosa risorsa della kermesse internazionale di Umbria Jazz, il pubblico ha applaudito il virtuoso talento di Francesca Tandoi al pianoforte, protagonista della nuova scena del jazz italiano, europeo, e internazionale, accompagnata da due artisti straordinari come Stefano Senni al contrabbasso e Giovanni Campanella alla batteria e da uno special guest come Max Ionata, uno dei migliori sassofonisti italiani. Tandoi e le sue mani hanno corso veloci come il vento sulla tastiera del pianoforte, per sprigionare tutta la carica esplosiva dello swing e a coloro che hanno avuto il privilegio di ascoltarla per la prima volta, Francesca non ha risparmiato la sorpresa di offrire anche alcuni brani impreziositi dalla sua voce.

    Ma come non menzionare le performance vocali dirompenti, la capacità di usare la voce passando con una straordinaria disinvoltura dai toni più alti a quelli più bassi, alla stregua di uno strumento musicale, della venticinquenne cantante americana di origini camerunensi Ekep Nkwelle, recente rivelazione artistica, scoperta come tantissimi altri talenti nella lunga storia di Umbria Jazz dal suo Direttore artistico Carlo Pagnotta.

    Allo scoccare della mezzanotte, come in una vera e propria jazz jam session, cittadini e turisti si sono ritrovati davanti  all’incantevole facciata del Duomo di Orvieto, per l’occasione impreziosita da un elegante gioco di illuminazioni a tempo di musica che ha fattoda suggestivo scenario.

    Il primo giorno dell’anno alle 17, ancora nuove emozioni, ma questa volta all’interno del Duomo, che ha ospitato la solenne celebrazione eucaristica della  Messa della Pace e a seguire il suggestivo e travolgente concerto dei Benedict Gospel Choir, inseriti nel programma della 31esima edizione di Uj Winter.

    La manifestazione, in cui è spiccata l’organizzazione impeccabile di tutto lo staff della Fondazione Umbria jazz, e del personale delle location comunali che hanno ospitato i vari concerti, si conferma non solo un evento musicale di prim’ordine, ma anche un efficace e attraente volano per il turismo e l’economia di Orvieto e dell’Umbria, sostenuta anche da un pubblico sempre più numeroso e sempre più internazionale, che rappresenta un riconoscimento al lavoro svolto per promuovere la città di Orvieto come meta culturale di eccellenza.

    Possiamo dunque affermare con assoluta certezza che, con un programma che da sempre sa alternare tradizione e innovazione, la 31ª edizione di Umbria Jazz Winter si è confermata come uno degli appuntamenti più attesi del panorama musicale italiano e del del jazz mondiale.

    Antonello Romano

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      Musica

      “Volevo essere un duro” è da Eurovision? Fuori dall’Italia dicono di sì!

      Dall’Italia all’Europa, la performance sanremese di Lucio Corsi fa discutere (e innamorare) i fan dell’Eurovision. Reazioni, meme e previsioni sul rappresentate dell’italia all’Eurovision Song Contest che incombe. La sua canzone Volevo essere un duro ha già varcato i confini italiani grazie ai video reaction degli europei: tra chi lo adora per la sua eccentricità e chi si chiede se sia uscito da una graphic novel psichedelica, Lucio ha già lasciato il segno.

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        C’è chi sogna palchi internazionali sin da bambino e chi, come Lucio Corsi, ci arriva in modo del tutto inaspettato. Dopo la rinuncia di Olly, vincitore di Sanremo 2025, è toccato a lui indossare la fascia tricolore in direzione Eurovision. Con la sua Volevo essere un duro — un brano tra glam rock e favola postmoderna — il cantautore toscano si appresta a salire sul palco più kitsch (e amato) d’Europa.

        Reazioni internazionali: tra stupore, amore e “what did I just watch?”

        Il bello di una gara come l’Eurovision è che… tutto può succedere. Ed è proprio quello che sembra pensare il pubblico europeo dopo aver visto l’esibizione sanremese di Corsi. Il canale YouTube Eurovision Hub, specializzato in reaction da ogni angolo del continente, ha raccolto i pareri più disparati: c’è chi lo paragona – esagerando – a David Bowie in salsa maremmana, chi applaude il coraggio stilistico, e chi — testuali parole — “non sa se ha assistito a un capolavoro o a un sogno febbrile”.

        Divisivo ma intrigante

        Su Reddit, nel frattempo, il dibattito si infiamma: “Finalmente un artista italiano che osa davvero!”, scrive un utente olandese. “Non vincerà, ma ci farà divertire”, aggiunge un commentatore inglese. Insomma, Lucio divide ma intriga — il che, all’Eurovision, è spesso sinonimo di successo.

        Autenticità come arma segreta

        In una recente intervista, Corsi ha sottolineato che non intende cambiare per piacere al pubblico internazionale: “Resterò fedele al mio stile, anche se non tutti lo capiscono al primo ascolto. Non è un karaoke, è un’espressione artistica”. E in effetti, il suo stile — un mix di vintage, psichedelia e ironia — sembra proprio essere la carta vincente. “Volevo essere un duro”, dice il titolo. Ma alla fine Lucio potrebbe rivelarsi il più tenero (e interessante) concorrente dell’edizione 2025.

        Outsider o sorpresa?

        I bookmakers sono ancora indecisi: l’Italia non è in cima alla lista dei favoriti, ma nemmeno fuori dai giochi. E se c’è una cosa che l’Eurovision ci ha insegnato, è che tutto può cambiare con una buona esibizione (e magari un costume con le stelle glitterate). Corsi, con la sua poetica da fuoriclasse e il suo look da eroe indie, promette di lasciare il segno. Magari non salirà sul podio, ma sicuramente lo ricorderemo…

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          Sanremo, la Rai porta il Comune in Tribunale: “Uso ingannevole del marchio. Il Festival è nostro”

          La TV di Stato ha diffidato il Comune di Sanremo dall’assegnare il brand a nuovi operatori: “Nessuno può copiare il nostro format”. Il rischio? Che la storica kermesse musicale venga stravolta o trasmessa altrove.

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            Che aria tira a Sanremo, nel post-Festival? Tutt’altro che leggera. Archiviata l’edizione dei record con la direzione artistica di Amadeus, sul palco dell’Ariston è calato un silenzio inquieto. A romperlo, è arrivata una diffida formale della Rai contro il Comune della città dei fiori. Il motivo? La pubblicazione del bando pubblico per l’assegnazione delle prossime edizioni del Festival, che – dopo la bocciatura dell’assegnazione diretta – ha scoperchiato una guerra di nervi, diritti e identità.

            Secondo quanto riportato dall’Ansa, l’azienda di Viale Mazzini ha avviato un’azione legale per tutelare il marchio “Festival di Sanremo” e il format televisivo della kermesse. La Rai rivendica con forza la paternità culturale e produttiva dell’evento, sostenendo che solo la TV di Stato sia legittimata a portare avanti una tradizione costruita in decenni di storia, innovazione e memoria collettiva.

            Dietro il velo della burocrazia, si cela un tema più profondo: chi è davvero il “proprietario” del Festival? Chi ne detiene l’anima? Per la Rai, non è solo questione di loghi e licenze. È il format stesso – l’impalcatura narrativa, la conduzione, la regia, perfino l’impostazione delle serate – a costituire un diritto d’autore a sé. E se un’altra emittente, vincendo il bando, provasse a replicarlo? Per la Rai, si tratterebbe di plagio.

            Il paradosso è tutto italiano. Il Comune di Sanremo, che ha dato i natali alla manifestazione, ora rischia di essere costretto a scegliere un nuovo partner televisivo. Ma la Rai, storica “compagna di viaggio” del Festival, non intende mollare la presa. E accusa il Comune di voler concedere in licenza i marchi della manifestazione a soggetti terzi, rischiando – secondo l’emittente pubblica – di generare confusione nel pubblico.

            Il rischio è quello di un “falso Sanremo”: un programma che porta lo stesso nome, ma che non ha nulla a che vedere con il prodotto originale. Un’ipotesi che la Rai definisce “uso ingannevole del marchio” e che, qualora si concretizzasse, potrebbe sfociare in una battaglia legale senza precedenti nel panorama dello spettacolo italiano.

            Dall’altra parte, il Comune difende la legittimità della propria azione: la pubblicazione del bando è stata imposta dalle normative sulla concorrenza e dalla sentenza del TAR che ha annullato l’assegnazione diretta. Una mossa obbligata, ma che ha acceso la miccia di un conflitto potenzialmente esplosivo.

            Il futuro del Festival, insomma, è a rischio. E non è solo questione di dove si terrà o chi lo trasmetterà. Il pericolo reale è che venga smarrita l’identità profonda della kermesse: quel mix unico di musica, spettacolo, cronaca e cultura popolare che da oltre 70 anni incolla gli italiani davanti alla TV.

            Nel frattempo, i tempi stringono. L’edizione 2026 è già in agenda, ma senza certezze su chi la realizzerà. I fan temono di perdere non solo la cornice dell’Ariston, ma anche la formula che ha reso il Festival un simbolo nazionale. E dietro le quinte, il braccio di ferro tra istituzioni e televisioni rischia di trasformarsi in un atto finale amaro per la manifestazione canora più amata del Paese.

            Chi avrà l’ultima parola? Per ora, si attende l’esito delle azioni legali. Ma una cosa è certa: Sanremo non è solo una questione di musica. È una questione di identità. E non sarà facile trovare una nota che metta tutti d’accordo.

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              “Le critiche sanremesi mi sono sembrate bullismo”: Rkomi non ci sta e sbotta

              Il cantante riflette sull’esperienza sanremese durante un’intervista: tra ironie social e giudizi poco piacevoli, emerge una critica sul modo in cui viene trattata l’originalità artistica

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                A due mesi dalla conclusione del Festival di Sanremo 2025, Rkomi torna a parlare della sua partecipazione e dell’ondata di commenti ironici che lo ha travolto sui social. Ospite del podcast Passa dal BSMT di Gianluca Gazzoli, l’artista milanese racconta il suo punto di vista su quanto accaduto. Soffermandosi sul tema della derisione mediatica e sull’importanza di rispettare le espressioni artistiche personali.

                “Un’esperienza da rivalutare”

                Il Festival di Sanremo rappresenta per ogni artista un importante palcoscenico, ma anche un banco di prova mediatico. Ne sa qualcosa Rkomi, che ha partecipato all’edizione 2025 con il brano Il ritmo delle cose. A distanza di settimane, il cantante ha condiviso le sue riflessioni sull’esperienza vissuta, parlando apertamente di alcuni aspetti che lo hanno fatto riflettere. Durante l’intervista, Rkomi ha spiegato che, pur avendo cercato di vivere l’evento con leggerezza, non ha potuto ignorare le numerose prese in giro ricevute per il modo in cui ha cantato, accusato da molti utenti di utilizzare un “tono in corsivo”.

                Ironia o bullismo? Le parole dell’artista

                “C’è stata una sorta di bullismo nei miei confronti”, ha dichiarato senza mezzi termini. Rkomi ha fatto riferimento ai meme circolati in rete e ai commenti sarcastici sulla sua pronuncia, che secondo molti utenti sembrava affettata o caricaturale. “Ripensandoci, non è stato piacevole – ha aggiunto – anche se ormai sono abbastanza grande da lasciarmi scivolare certe cose addosso”. Nonostante il tentativo di sdrammatizzare, il cantante ci ha voluto a sottolineare come la discussione attorno alla sua performance si sia concentrata quasi esclusivamente su questo dettaglio stilistico, oscurando il significato e il lavoro dietro la canzone.

                Un messaggio sul rispetto dell’arte

                “Mi sembra assurdo che, con tutte le cose importanti che si potrebbero dire, ci si fermi solo a questo”, ha commentato. Per Rkomi, il rischio è quello di ridurre l’arte a oggetto di scherno, dimenticando che ogni scelta stilistica nasce da una precisa visione artistica. Le sue parole aprono un dibattito più ampio sulla libertà espressiva e sulla tendenza, sempre più diffusa, a banalizzare le performance attraverso il filtro dei social. Un invito, il suo, a superare la superficialità dei meme e a guardare con più attenzione al messaggio che ogni artista cerca di trasmettere.

                Diritto all’unicità

                Rkomi si conferma come una delle voci più originali e controcorrente del panorama musicale italiano. La sua testimonianza non è solo uno sfogo personale, ma anche uno spunto di riflessione sul rapporto tra pubblico, media e artisti. Sanremo, per lui, è stata una tappa significativa, nonostante tutto: un’occasione per portare sul palco la propria visione e, oggi, per difendere il diritto all’unicità.

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