Personaggi e interviste

Del Debbio: c’è mancato poco che l’avessimo dovuto chiamare… Don Paolo

Uno dei giornalisti di punta di Mediaset da giovane ha frequentato il seminario di Lucca, tra i 16 e i 18 anni, accarezzando il sogno di diventare sacerdote. Ma l’attrazione per l’amore fisico gli fece cambiare idea.

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    Non lo sanno in molti: avrebbe voluto diventare prete e, invece, è diventato uno dei volti del giornalismo nella tv italiana. Paolo Del Debbio ha raccontato questo ed altro in un’intervista concessa al Corriere della Sera, dissertando sul suo percorso di vita e toccando temi basilari come l’educazione religiosa, la sua esperienza familiare durante il fascismo e il rapporto con Silvio Berlusconi e il mondo Mediaset.

    Forse non tutti sanno che…

    Del Debbio, tra i 16 e i 18 anni, ha trascorso due anni nel seminario arcivescovile di Lucca. Lui ne parla come «i due anni più belli della mia vita». Periodo nel quale ebbe modo di scoprre quella che poi è rimasta una sua grande passione: la filosofia. Di famiglia umile, trovò nel seminario un ambiente di studio perfetto, caratterizzato dal silenzio e dalla riflessione. Anche se in quel periodo, per sua setssa ammissione, abbia considerato la possibilità di diventare prete, l’attrazione per «il richiamo dell’amore fisico» lo portò a una scelta diversa, pur rimanendo legato a quegli anni formativi che hanno segnato in maniera prodonda la sua vita.

    Nel suo ultimo libro tanta filosofia

    Il richiamo per quell’atmosfera di profonda quiete meditativa è sempre forte. Non a caso ha scritto il suo ultimo libro, Siamo tutti filosofi senza saperlo, nell’abbazia di Vallombrosa? Lui racconta: «Da ragazzo ho studiato un anno dai benedettini a Roma, dove incontrai il bibliotecario generale. Da allora ogni estate mi ritiro nell’abbazia per una decina di giorni. È a più di mille metri, fa fresco, i monaci sono miei amici, e la biblioteca è meravigliosa. Il luogo ideale per pensare e scrivere».

    Il suo fiero antifascismo legato all’esperienza paterna

    Il giornalista e conduttore è un rigoroso antifascista, anche grazie alla storia di suo padre Velio, deportato in un campo di concentramento nazista a Luckenwalde. In merito a questo precisa: «Possono dirmi di tutto, possono attaccare le mie trasmissioni, non ho mai reagito alle critiche; ma sul fascismo no». Sin da piccolo rimase infatti segnato dai racconti del padre sulle atrocità del regime e le condizioni atroci subite dai prigionieri italiani, trattati «come cose», mentre i nazisti ostentavano le ciotole di carne per i loro cani. Celebre un suo sfogo in tv: «Sul fascismo a me non dovete rompere i coglioni, sono figlio di un deportato».

    Dignità e convinzione nel valore umano

    Papà Velio viene ritratto come una persona di grande dignità, che rischiava le botte dalle SS «facendosi la barba e facendola agli ebrei di passaggio verso i campi di sterminio». Racconti della sua famiglia che, uniti anche all’impegno antifascista della nonna che aveva aiutato i partigiani, hanno contribuito al suo senso di giustizia e convinzione nel rispetto della dignità umana. Atteggiamento che puntualmente si può ritrovare nelle sue trasmissioni, sempre a contatto con la gente comune.

    In Fininvest grazie alla futura moglie

    Negli anni ’90 entra a lavorare in Fininvest, grazie alla sua futura consorte Gina Nieri che gli presenta con Fedele Confalonieri. Un incontro che si rivela decisivo per il suo futuro: «Abbiamo bisogno di gente che ha studiato e che pensa», disse Confalonieri. E il primo incarico di Del Debbio fu come suo assistente.

    Nel gruppo di lavoro che scrisse il programma di Forza Italia

    Nel 1993 viene chiamato a far parte del gruppo di lavoro che scrisse il programma politico di Forza Italia. Non a caso afferma che «i movimenti politici vanno colti allo stato nascente», sottolineando l’importanza della par condicio. Da allora, Del Debbio ha rivestito un ruolo importante nel mondo televisivo, lavorando per Mediaset e conducendo talk show politici, come Dritto e Rovescio, su Rete 4.

    Ricordando Silvio

    Il suo ricordo di Berlusconi è quello di una figura unica: «Non solo per la genialità, ma per un’altra cosa, ancora più rara. Di solito uno pensa, l’altro organizza, il terzo realizza. Lui faceva tutte e tre le cose: gli veniva un’idea, organizzava il modo di realizzarla… e la realizzava».

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