Speciale Festival di Sanremo 2025
“Con questo Sanremo non c’entro niente”: il giudizio di Enrico Ruggeri (video)
Il due volte vincitore della kermesse sanremese parla dell’edizione in fase di partenza a breve: «Quest’anno sarei stato in imbarazzo a partecipare. Non c’entro niente».
«Questo è un Sanremo in cui, se avessi partecipato, sarei stato in imbarazzo, non c’entro niente. Però è già meglio dei Festival di Amadeus, almeno ci sono tre cantautori: Lucio Corsi, Simone Cristicchi e Brunori Sas». Il popolare artista, anche scrittore e presentatore televisivo, sintetizza così il suo giudizio sulla nuova edizione del festival, che parte martedì prossimo.
Platone è la storia dei nostri tempi, più che mai attuale
Recentemente impegnato in tv col suo programma Gli occhi del musicista, conclusosi martedì su Rai2), si dichiara estremamente orgoglioso del nuovo album dal titolo filosofico, La caverna di Platone, un inno alla libertà di pensiero, al di fuori delle logiche di mercato. «È la storia dei nostri tempi, scritta 2.500 anni fa» spiega Ruggeri. «Prigionieri chiusi in una caverna che pensano che la realtà sia una proiezione e quando escono si sentono a disagio, desiderando tornare dentro. È quello che succede oggi: ti dicono che una cosa è la realtà e in tanti ci credono».
Un momento musicale della trasmissione su Rai2
Duetta col figlio Pico Rama, hippy scaraventato nel 2025
In questo nuovo disco, per la prima volta duetta con suo figlio Pico Rama (qualcuno se lo ricorderà anni fa a X Factor), in un brano scritto da lui, Benvenuto chi passa da qui. «Mio figlio è un hippy degli anni 70 scaraventato nel 2025, uno sciamano, vive in campagna lontano da tutte le sollecitazioni. Ha scritto questa canzone rasserenante sull’accettazione di sé e siccome nell’album ci sono momenti spigolosi, dolorosi, in cui parlo di guerra, ho pensato che fosse opportuno alleggerire».
Due volte trionfatore all’Ariston
Di Festival lui ne ha vinti due e conosce molto bene sia il palco dell’Ariston che le logiche che nasconde. La prima vittoria nel 1987, in trio con Gianni Morandi e Umberto Tozzi con una canzone che è diventato un classico, Si può dare di più. E poi nel 1993 con un pezzo più rock, tutt’altro che sanremese, Mistero. «E pensare che Si può dare di più, che all’inizio doveva essere l’inno della Nazionale Cantanti, non mi convinceva, a botta calda dissi di no».
Per i critici un grande autore ma cantante mediocre
Come mai? «Per la prima volta avrei dovuto cantare un brano di altri, lontano dalle cose che scrivevo io. Poi, però, a farmi cambiare idea sono state le critiche. Dicevano che ero un grande autore, ma un cantante mediocre. E allora ho pensato che se avessi portato a Sanremo un brano non mio, ma difficile da cantare, avrei zittito tutti. Per questo ho chiesto di cantare la parte più difficile, con la nota più alta».
La morte di Claudio Villa, una notizia che rese malinconica la vittoria del 1987
Un verso del testo però non gli piaceva: «Quello sulla guerra e sulla carestia che mi sembrava populista. Si offrì di cantarla Morandi. Rispetto ai testi di oggi… è Proust». Proseguendo sull’onda dei ricordi: «Fu un trionfo dolceamaro, perché la sera della finale arrivò la notizia della morte di Claudio Villa. A Sanremo quando vinci è un bel momento, festeggi, poi arriva il lunedì e non cambia niente. Il trio si sciolse subito dopo, ci avrebbero spremuto solo per fare soldi».
Dopo la sua Mistero, solo i Maneskin rivinceranno con un brano rock
Diversi anni dopo di nuovo al primo posto con Mistero, un brano che ricorda vagamente i Queen: «Non me l’aspettavo, mentre con Si può dare di più la vittoria era nell’aria. Nel 1993 i favoriti erano Renato Zero e Amedeo Minghi che non avevano pezzi eccezionali, hanno scritto cose molto più belle nella loro carriera. In più erano in silenzio stampa, i giornalisti scrivevano di me perché ero l’unico che trovavano. Credo di aver vinto anche per simpatia». Ci vorranno i Maneskin, parecchi anni dopo, a rivincere il festival con una canzone dal sapore rock.