Speciale Festival di Sanremo 2025

Tony Effe: «Le polemiche sui miei testi? Mi hanno ferito. Ho pianto davanti a mia madre»

Tony Effe si confessa: «Le accuse di violenza mi hanno fatto male, sono crollato. Ho una fidanzata, esco poco e prendo lezioni di italiano. Leggo anche Saba: mi ha insegnato a vedere Roma come una persona. Sanremo? Una nuova sfida con Damme ’na mano».

Published

on

    Un’intervista a cuore aperto, quella di Tony Effe in cui il rapper romano si racconta senza filtri. Nicolò Rapisarda, 33 anni, conosciuto al grande pubblico come Tony Effe, è reduce da un anno di successi e polemiche. Dalla pubblicazione del suo secondo album solista, certificato quadruplo disco di platino, al record di ascolti tra tutti gli artisti italiani, fino alla bufera per il concerto di Capodanno a Roma, Tony Effe ha attraversato un periodo intenso, segnato anche da momenti di fragilità. «Mi ha ferito leggere che i miei testi istigassero all’odio di genere. Non mi riconosco in quell’immagine», confessa l’artista, che oggi si definisce più maturo e riflessivo, distante dagli eccessi del passato.

    Non mancano però i nuovi progetti: una canzone autobiografica per il prossimo Festival di Sanremo, lezioni settimanali di italiano per affinare la scrittura e una crescente consapevolezza artistica. «Non si può confondere l’immaginario con la realtà. Stephen King allora cos’è, un serial killer?».

    Come hai vissuto le critiche ricevute per il Capodanno a Roma?
    «Malissimo, non lo nego. Mi ha ferito leggere che i miei testi istigassero all’odio di genere. Durante il concerto al PalaEur l’ho detto al pubblico: ci sono stato male. Ho organizzato quella serata in fretta e furia dopo che il Comune aveva deciso di escludermi dall’evento ufficiale. Tutti si aspettavano che reagissi da duro, ma non ce l’ho fatta. Un giorno, mentre stavo traslocando, sono crollato. C’era mia madre ad aiutarmi con gli scatoloni, e all’improvviso mi sono messo a piangere. Mi sono vergognato, perché non sono abituato a mostrare le mie debolezze. Ma in quel momento stavo esplodendo. Quelle accuse mi hanno fatto davvero male. Una cosa è raccontare, un’altra è vivere. È importante capire questa differenza».

    Parli dei tuoi testi come di uno sguardo sulla realtà. Ti riconosci nella polemica sui contenuti violenti?
    «Il rap ha un suo linguaggio, un suo codice. Raccontiamo ciò che vediamo, è sempre stato così. Mai confondere l’immaginario con la persona. Stephen King allora sarebbe un serial killer? Io parlo di esperienze, di cose vissute o viste. Poi certo, cresci, cambi, e cerchi di affinare il modo in cui racconti queste cose. Ma se vuoi fare un pezzo realistico, non puoi edulcorarlo troppo, altrimenti perde di senso. Questo però non vuol dire che io sia quella persona che descrivo nei miei pezzi».

    Prima del rap c’era la carriera d’attore. Ci racconti quel periodo?
    «Da piccolo ero convinto che sarei diventato un attore. A quattro anni sono stato preso in Viaggi di nozze di Carlo Verdone, e da lì è iniziato tutto. Ero richiesto, facevo un provino al giorno. Mio padre mi portava in giro per Roma, e spesso avrei preferito giocare con i miei amici. Ma capivo che era un modo per aiutare economicamente la famiglia. Andava così: uscivo da scuola alle quattro e andavo subito a fare i provini. Era una vita strana per un bambino».

    Come sei cambiato rispetto agli anni con la Dark Polo Gang?
    «Tantissimo. Ho una fidanzata con cui convivo e ho imparato ad apprezzare la tranquillità. Esco poco, mentre prima avevo bisogno di stare sempre fuori, tra locali e feste. Ora preferisco restare a casa a guardare La carica dei 101. Mi piace questa nuova dimensione più calma. Mi sento più centrato, anche artisticamente. Per questo ho iniziato a prendere lezioni di italiano una volta a settimana. Mi aiuta a scrivere meglio e a capire più a fondo i testi».

    Lezioni di italiano? Un rapper che legge Umberto Saba suona curioso…
    «Sì, e mi sta piacendo un sacco! Nell’ultima lezione abbiamo letto una poesia di Saba in cui impersonifica la città come un ragazzaccio biondo. Mi ha colpito, perché è un po’ quello che ho cercato di fare anch’io con Roma nella mia canzone Damme ’na mano. Roma per me è come una persona, è un rapporto d’amore e odio, ma soprattutto è casa. Scrivere quel brano per Sanremo è stato terapeutico. Mi ha aiutato a ritrovare un po’ di quella magia che avevo perso».

    A Sanremo sarà un nuovo inizio per te?
    «Non so se sarà un nuovo inizio, ma di sicuro sarà un’occasione per mostrarmi in modo diverso. Damme ’na mano è un pezzo che mi rappresenta al 100%. L’ho scritto io, ogni singola parola. È il brano che amo di più della mia discografia. Lo sento vero, diretto, senza filtri. Credo che anche il pubblico se ne accorgerà».

      Ultime notizie

      Exit mobile version