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“Gli sfonderei il cranio”: Nicolai Lilin minaccia Luca e Paolo per una battuta su Mattarella

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    Se fosse una scena di Educazione siberiana, probabilmente saremmo nel bel mezzo di un regolamento di conti tra criminali tatuati e spietati. Ma questa volta non c’è nessun romanzo di mezzo, solo la realtà grottesca di un evento pubblico a Genova, in cui lo scrittore e propagandista filorusso Nicolai Lilin ha dato sfogo a un attacco verbale di rara violenza contro Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu.

    Il motivo? I due comici, nella loro copertina satirica a DiMartedì su La7, avevano preso in giro la petizione lanciata da Vincenzo Lorusso, un giornalista filorusso, per rimuovere Sergio Mattarella dal Quirinale. Un’iniziativa che già di per sé si commenta da sola, ma che, a quanto pare, è stata presa tremendamente sul serio da Lilin, che ha pensato bene di reagire non con una battuta, ma con minacce degne di un criminale da B-movie.

    “Gli sfonderei il cranio e gli farei ingoiare i denti”, ha dichiarato con toni da gangster il noto scrittore, con tanto di applausi in sala. Ma non pago, ha rincarato la dose, spiegando che lui, di fronte a certe cose, “ha ancora il sangue che gli va in testa” e che, se mai incontrasse Luca e Paolo, “lo troverebbero davanti”.

    L’ossessione per la satira e la nostalgia da rissa di strada

    Il punto centrale di questa sceneggiata è che Lilin non è nuovo a questi deliri di onnipotenza. Lo abbiamo visto più volte atteggiarsi a duro, a predicatore della strada, a fustigatore di una società borghese che, a suo dire, premia gli “inutili strapagati” come Luca e Paolo e ignora “eroi dell’informazione” come il giornalista Lorusso.

    Ma quello che emerge è un quadro ben più preoccupante. Siamo arrivati al punto in cui chi si occupa di satira non può più permettersi di fare il proprio mestiere senza rischiare aggressioni verbali e minacce fisiche?

    Luca e Paolo, da anni protagonisti della televisione italiana, sono abituati agli attacchi, ma quello di Lilin supera qualsiasi limite. Non è più una polemica, non è più un dibattito: è un discorso in perfetto stile mafioso.

    La satira non si tocca

    Ed è proprio qui che sta il punto: la satira è sacra. Sempre. Si può discutere, si può dissentire, si può anche dire che uno sketch non fa ridere, ma quando si arriva a evocare violenza fisica con una naturalezza allarmante, significa che si è varcata una linea pericolosa.

    Nel suo sproloquio, Lilin si atteggia a duro di strada, con il classico repertorio dell’uomo che ha “promesso alla mamma di non ammazzare più nessuno” e che però sente ancora il richiamo del sangue quando vede certe cose. Un cliché così stantio che sembra uscito da un copione scartato di Suburra.

    Ma il problema è che questa retorica della violenza viene applaudita. Invece di essere stigmatizzata, trova terreno fertile in un pubblico che evidentemente non ha ben chiaro il concetto di libertà d’espressione.

    Una deriva pericolosa

    Se il dibattito pubblico in Italia si riduce a un “voi non mi piacete, quindi vi voglio spaccare la faccia”, significa che il clima si sta facendo sempre più tossico. Chiunque si senta in diritto di minacciare fisicamente qualcuno solo perché ha fatto satira su un suo amico o su un’idea che condivide, si sta mettendo su una china scivolosa.

    Luca e Paolo hanno colpito nel segno, perché la satira serve a questo: a prendere per il culo, a ridicolizzare, a far emergere le assurdità. Se il risultato è una reazione così violenta, significa che il colpo è stato perfetto.

    E a Nicolai Lilin possiamo solo dire: in Italia non funziona così. Non siamo in una malavita da romanzo, non siamo in una banda criminale siberiana. Se una battuta non piace, ci si confronta, si risponde con altre parole. Ma qui non c’è nessun regolamento di conti: solo un evidente problema di gestione della rabbia.

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      Televisione

      Lo “iettatore” di Avanti un altro, fra pregiudizi, disillusioni e un ruolo incollato addosso

      Da anni presenza fissa nel cast di personaggi di Avanti un altro, il programma condotto da Paolo Bonolis. Una storia artistica, la sua, conosciuta dalla maggior parte dei telespettatori per il personaggio iconico di “posta-sfortuna”. Oggi svela i retroscena della sua vita e carriera. Attraverso l’analisi delle sue esperienze, dall’infanzia alle avventure nel mondo del cinema, l’attore condivide un percorso intriso di passione, sfide e una profonda riflessione personale.

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        La storia di Franco Pistoni rappresenta un classico percorso di identificazione con uno specifico personaggio. Quello che ricorda molto la figura di Totò nella sua interpretazione de La patente di Pirandello (contenuta nel film Questa è la vita del 1954). Ma Pistoni è tanto altro… e ci tiene a ribadirlo in una recente intervista rilasciata al sito Fanpage.it, raccontando i pregiudizi subiti, la sua brillante e poco conosciuta carriera, le poesie che scrive per la figlia Chandra, il rapporto con Paolo Bonolis, la disillusione politica, la sua visione della morte e il rifiuto della mondanità. E sul suo futuro in TV e al cinema per il quale dichiara senza timore: “Confesso che se potessi ritirarmi lo farei più che volentieri”.

        Nel 2012 entra nel cast di Avanti un altro nel ruolo dello Iettatore, un personaggio del quale lui sottolinea: “Con precise radici pirandelliane, dove si narra dei giudizi superficiali che ancora oggi vengono applicati a ciò che ci sembra diverso, esteriormente e non, negli altri. Per il vestiario ci si è ispirati al film interpretato da Totò e io fui contattato perché, al cinema, avevo interpretato un paio di Iettatori: in O Re di Luigi Magni e in Tutti al mare di Matteo Cerami.”

        Anche in film famosi

        Originario di Rieti, l’attore vanta una carriera ricca di esperienze di prestigio. Era nel cast di film del calibro de Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud e Le vie del Signore sono finite di Massimo Troisi. Due apparizioni di prestigio che vanno a sommarsi a quarant’anni di teatro. Franco Pistoni oggi ha 68 anni e di cose nel mondo dello spettacolo – ma anche nella vita vera – ne ha vissute tante. Come i pregiudizi che hanno accompagnato la sua adolescenza, l’arte della recitazione che ha impreziosito le sue giornate, la sua visione della morte, il rifiuto della mondanità e il desiderio di ritirarsi dalle scene.

        Figlio di un deportato

        Dice: “Ero considerato uno stravagante, uno strano fino a quando non partecipai al mio primo film, Il nome della Rosa. Da allora diventai quello che aveva lavorato con Sean Connery. Mi dichiaravo di sinistra, oggi la politica mi annoia ma ovviamente sono sempre per la difesa dei diritti e della libertà. La destra di Giorgia Meloni? Sono figlio di un deportato nei campi di concentramento in Germania, mai mi avvicinerei a certe folli decadenze”.

        Bambino molto riservato nei tumultuosi anni ’60

        Alla domanda su che genere di bambino fosse nell’infanzia, risponde: “Erano gli anni ’60, un’apoteosi di fisicità, si giocava in strada, ci si arrampicava sugli alberi, il bagno nei fiumi, si apparteneva a una tribù. Il tutto condito da affascinanti stimoli culturali: l’enciclopedia comprata a rate, la musica che si strimpellava nei garage. Ecco, la mia infanzia si è svolta in questi territori variopinti pur essendo sempre stato, contemporaneamente, un bimbo molto riservato e introspettivo.”

        L’ottusità della cultura provinciale

        Durante l’adolescenza Pistoni ha dovuto fare i conti con alcuni vergognosi pregiudizi. Un padre addirittura picchiò la figlia dopo averla vista in sua compagnia. Un ricordo che è rimasto indelebilmente stampato nella sua memoria: “Sì, era sera e riaccompagnai una ragazza a casa dopo essere usciti dalla sede di una “radio libera”: il padre non gradì la mia cortesia… Ero figlio della mia generazione, capelli lunghi, artista, indossavo l’orecchino e quindi pagavo, insieme ai miei coetanei, l’ostracismo di quella società che ci stava stretta soprattutto in provincia”.

        Il valore assoluto del teatro

        L’attore si accende quando gli si parla del mondo dello spettacolo: “Ricordo che il sabato sera, in una specie di ritualità, le famiglie si riunivano nella casa di chi possedeva un televisore e si guardavano varietà e sceneggiati. Mi colpiva la differenza che percepivo tra gli attori: c’era chi appariva falso e chi vero nel recitare, perché era il personaggio. Un circolo anarchico che frequentavo organizzò un seminario con il Living Theater e lì misi in pratica questo sentire, questo vivere realmente il personaggio. Percepivo una sacralità, una religiosità nel recitare. Scoprii che il teatro non era intrattenimento ma una vera disciplina atta a trasmettere interrogativi alti.”

        Fianco a fianco di alcuni mostri sacri

        Avendo avuto, in carriera, il privilegio di avvicinare sul set personaggi del calibro di Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman e Massimo Troisi, li ha sempre osservati con una curiosità particolare, soprattutto dal punto di vista umano. Di loro dice: Ha dei ricordi particolari legati a questi maestri del cinema Italiano? “Mi attraeva soprattutto osservarli umanamente. Persone che venivano considerate simili a Dei ma che percepivo, al contrario, essere possedute da una fragilità sconcertante. Certo, in scena erano mostruosamente padroni del mestiere ma, spenti i riflettori, mi incuriosivano di più: vederne l’uomo, l’essere umano, il mortale e, devo dire, siamo tutti uguali.”

        Il suo giudizio sulla televisione

        Sulla televisione, che attualmente rappresenta il suo luogo di lavoro, dice: “Potrà sembrare paradossale ma da anni per me la televisione è solo un elettrodomestico come il frigorifero, soprattutto di questi tempi in cui è diventata un’incantatrice ipnotizzante e imbarazzante oltre che un mezzo di propaganda. Confesso che se potessi ritirarmi lo farei più che volentieri.”

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          Lucio Presta, l’ex manager di Amadeus sentenzia: “Ti hanno consigliato male, caro Ama…”

          Lucio Presta, storico manager di Amadeus e volto noto dietro le quinte del Festival di Sanremo, ha raccontato la sua versione dei fatti ai microfoni di Rai Radio 2. Tra dichiarazioni pungenti e qualche stoccata elegante, ecco cosa ha detto sul suo addio alla kermesse musicale.

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            Proviamo ad immaginare Sanremo come una telenovela che è facile incrociare al pomeriggio in tv: quest’anno avremmo assistito alla classica scena in cui due protagonisti si lasciano con un lungo sguardo malinconico sotto la pioggia. In questo caso, però, niente gocce cinematografiche, solo un addio professionale (forse un po’ amaro) tra Lucio Presta e Amadeus.

            Parla il manager dei vip

            Ospite di Nunzia De Girolamo e Gianluca Semprini su Rai Radio 2, il manager di lungo corso ha raccontato di come si siano interrotte le sue storiche collaborazioni con il direttore artistico del Festival più amato (e discusso) d’Italia. “A dicembre 2023 le nostre strade si sono separate perché lui ha deciso di andare altrove”, ha spiegato Presta, sottolineando che la macchina organizzativa era già bella che avviata e che lui, da professionista navigato, non ha voluto partecipare a un evento che non lo vedeva più protagonista.

            Nostalgia e sottile veleno

            Ma non finisce qui, perché quando c’è di mezzo un addio, si sa, c’è sempre anche un po’ di filosofia spicciola. “Quando arrivi a una certa consapevolezza, pensi di non aver più bisogno di nessuno. E poi, se sei mal consigliato, rischi di non vedere bene le cose che vedevi prima”, ha dichiarato, con una punta di nostalgia (e forse un pizzico di veleno).

            Pia illusione

            Secondo il manager, Amadeus ha pensato di poter camminare da solo, ma nella vita – e soprattutto nello show business – i successi si costruiscono insieme. Un monito per tutti gli aspiranti solisti?

            Un consiglio spassionato a Cristicchi

            Oltre alle dinamiche del dietro le quinte sanremese, Presta ha anche voluto spegnere una piccola polemica scatenata dalle dichiarazioni di Simone Cristicchi, il quale aveva rivelato che una sua canzone era stata scartata dal Festival. Nessuno scandalo, secondo il manager: “Forse quella canzone non rispecchiava il tipo di percorso che Amadeus voleva fare”, ha detto, aggiungendo che, seppur bravo, Cristicchi potrebbe anche esplorare tematiche diverse da quelle sociali. Come dire: va bene la profondità, ma ogni tanto una canzone leggera non guasta.

            Nel 2021 ci fu un cambio di passo epocale

            Infine, un ricordo nostalgico del Sanremo 2021, quando, complice il lockdown, il Festival si era aperto a nuovi talenti poco conosciuti dal pubblico di Rai 1. Una scelta coraggiosa che ha segnato un cambio di passo e che, a detta di Presta, ha rappresentato un momento chiave nella storia recente della kermesse.

            Il futuro è un’ipotesi

            Tra addii, frecciatine e un pizzico di malinconia, la saga sanremese continua. E chissà se in futuro le strade di Presta e Amadeus si incroceranno di nuovo. Perché, si sa, nel mondo dello spettacolo, gli addii sono spesso solo arrivederci…

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              Il diario di Perfidia: una puntata speciale per raccontare il viaggio tra i grandi temi della politica

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                Questa sera alle 21,30 su LaC Tv il meglio del talk condotto da Antonella Grippo. Un racconto delle ultime settimane di fibrillazioni internazionali e italiche.

                Il meglio delle recenti puntate tra le fibrillazioni della politica internazionale e italica, le imbarazzanti confessioni a Sua Santità El Diablo e i duelli in studio, senza esclusione di colpi tra opposte fazioni.

                Appuntamento alle 21,30 su LaC Tv per una puntata speciale di Perfidia: Antonella Grippo ci porterà in viaggio tra i temi più caldi delle ultime settimane politiche con il solito sguardo alto per spaziare tra gli scossoni della geopolitica e i grandi dibattiti dell’attualità.

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