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Calcio

Edoardo Bove si risveglia: «Grazie a tutti». Il cardiologo spiega i possibili scenari

Il giovane calciatore, ricoverato a Careggi, è cosciente e non più intubato. Gli esperti analizzano l’episodio: il ritorno in campo dipenderà dai risultati degli accertamenti diagnostici.

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    Finalmente un sospiro di sollievo per Edoardo Bove, il centrocampista della Fiorentina che questa mattina ha pronunciato le sue prime parole dopo il grave malore accusato in campo durante la partita contro l’Inter. Ricoverato presso l’ospedale di Careggi, a Firenze, il giovane calciatore non è più intubato e ha parlato con i familiari, tra cui i genitori Giovanni e Tanya e la fidanzata Martina.

    Bove è ancora sottoposto a una lunga serie di accertamenti

    Nonostante il miglioramento, Bove è ancora sottoposto a una lunga serie di accertamenti diagnostici per chiarire cosa abbia causato l’aritmia che lo ha portato all’arresto cardiaco, costringendo i soccorritori a intervenire con il defibrillatore.

    Secondo il cardiologo Massimo Grimaldi, presidente designato dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco), l’episodio potrebbe essere stato scatenato da una torsione di punta o da una contusione toracica.

    Torsione della punta

    «La torsione di punta è un’aritmia fugace, talmente veloce che può portare a un arresto cardiaco oppure risolversi spontaneamente. Può essere causata da bassi livelli di elettroliti come potassio o magnesio, oppure da una predisposizione genetica come il QT lungo. Tuttavia, quest’ultima ipotesi è poco probabile, dato che sarebbe stata rilevata durante i controlli di idoneità sportiva», ha spiegato Grimaldi.

    Se le indagini confermassero una causa rimovibile, come un grave squilibrio elettrolitico, Bove potrebbe tornare a giocare. Tuttavia, se venissero individuate alterazioni strutturali del miocardio o cause genetiche, il calciatore potrebbe dover rinunciare alla carriera agonistica.

    Grimaldi ha anche sottolineato il rigore delle normative italiane nel rilascio dell’idoneità sportiva: «L’Italia è tra le nazioni più protettive al mondo. Sebbene un defibrillatore possa eliminare il rischio di morte improvvisa, alcune cardiopatie peggiorano rapidamente con lo stress fisico. È per questo che in Italia si tutela anche il rischio di peggioramento delle condizioni sottostanti».

    Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha fatto visita al calciatore e ha dichiarato: «L’ho trovato vigile e sereno. È davvero un ragazzo d’oro, con una grande capacità di reazione». La strada per la ripresa è ancora lunga, ma le prime parole di Bove e la sua forza d’animo sono segnali incoraggianti per il futuro.

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      Calcio

      Noel, il raccattapalle eroe: “Ho battuto Donnarumma e l’Italia”. La Germania celebra il 15enne che ha beffato gli Azzurri

      Il raccattapalle della sfida tra Germania e Italia diventa protagonista con un assist a Kimmich. Nagelsmann lo ringrazia in conferenza, Kimmich gli regala la maglia. La Bild ironizza: “Anche un raccattapalle segna contro l’Italia”

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        A Dortmund si è scritto un capitolo surreale e beffardo della sfida tra Germania e Italia. A rubare la scena non è stato né un bomber da copertina né un fuoriclasse d’altri tempi, ma un ragazzo di 15 anni, alla sua prima volta come raccattapalle. Il suo nome è Noel Urbaniak e in poche ore è diventato l’idolo di un’intera nazione, ma l’incubo sportivo degli Azzurri.

        Minuto 36 del primo tempo, Nations League: l’Italia pasticcia, Donnarumma discute con l’arbitro Marciniak e i compagni, ignaro di ciò che sta accadendo alle sue spalle. E dietro la porta, c’è proprio Noel, che si coordina con un guizzo degno di un veterano e spara il pallone verso Joshua Kimmich, pronto a battere velocemente l’angolo. Da lì all’assist per Jamal Musiala il passo è breve: gol della Germania a porta praticamente sguarnita e Italia colta di sorpresa.

        “Anche un raccattapalle fa gol alla nazionale italiana”, ha titolato senza pietà la Bild, riassumendo l’umore tedesco e la valanga mediatica che si è abbattuta sul ragazzo. Noel, tesserato nelle giovanili dell’Hombrucher e tifoso sfegatato del Borussia Dortmund, da spettatore privilegiato si è ritrovato protagonista inatteso di uno degli episodi più discussi del match, terminato poi sul 3-3.

        A fine partita l’incredulità di Noel si è trasformata in festa: Kimmich lo ha raggiunto a bordo campo, gli ha regalato la maglia e il pallone della partita e si è prestato per una foto ricordo. “Non dimenticherò mai questa serata”, ha dichiarato il giovane ai media tedeschi. Poco prima, sul cellulare, i messaggi commossi dei genitori: “Sei in tv, sei un eroe!”.

        Il ct Julian Nagelsmann non ha perso l’occasione per celebrare il piccolo “alleato”: “Il nostro secondo gol è stato di livello mondiale da parte di tutti e tre: Kimmich, Musiala e il raccattapalle. Era lì, pronto sulla palla, bravissimo”. Da quel momento, selfie e applausi hanno travolto il ragazzo che, nel frattempo, ha già conquistato un posto speciale nella memoria collettiva dei tifosi tedeschi.

        E mentre l’Italia si lecca le ferite e cerca spiegazioni per l’ennesima distrazione difensiva, in Germania il nome di Noel Urbaniak è diventato sinonimo di furbizia e sangue freddo. Lui, con la spensieratezza dei suoi 15 anni, si gode la gloria: “È stato tutto così irreale, pazzesco”. E chissà se da grande non diventerà lui stesso uno di quei calciatori a cui i raccattapalle serviranno palloni decisivi.

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          Calcio

          Cassano e l’assegno “rubato”: il racconto esilarante di Totti e la confessione di Fantantonio

          L’ex capitano della Roma svela il retroscena sul famoso assegno smarrito e l’accusa (poi ritirata) che Cassano rivolse persino alla tata di casa Totti.

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            C’è chi lo ricorda per i suoi gol e chi per le sue proverbiali “cassanate”. Questa volta però è Antonio Cassano stesso a rievocare uno dei suoi momenti più folli, con l’amico Francesco Totti pronto a fare da spalla in un siparietto che ha scatenato le risate del pubblico. Durante una chiacchierata nella trasmissione “Viva el Futbol”, il Pupone ha svelato un retroscena che riguarda proprio gli anni in cui Cassano era ospite fisso nella casa dei Totti.

            “L’avrei ammazzato vi giuro. Un giorno ci perdemmo un assegno e non lo trovavamo più”, ha raccontato Totti. “Alla fine scoprimmo che era cascato in macchina sotto il sedile, quando tiravi su il freno a mano. Ma voi non potete capire cosa ha combinato: una sceneggiata degna di un film. Si era impuntato, accusava tutti, mia madre, mio padre, pure me”. La vicenda, che oggi fa sorridere, all’epoca aveva creato non pochi grattacapi, soprattutto perché l’assegno smarrito era intestato proprio a Cassano. “Era una bomba a mano – ha scherzato Totti – perché anche se lo trovavamo, era comunque suo”.

            A rincarare la dose ci ha pensato Lele Adani, presente alla trasmissione: “Ma perché fai una roba così? Ti hanno ospitato, eri a casa loro”. E qui arriva la confessione autoironica di Cassano: “Perché ero un cog…ne. Per tre mesi mi hanno trattato come un figlio, mi facevano mangiare e bere, ero il terzo figlio dei Totti. Ma allora ero un’altra persona rispetto ad oggi”. Poi il racconto si fa ancora più spassoso: “Andai pure dalla tata e le dissi: ‘Mi hai rubato l’assegno’. E quella mi rispose: ‘Ma li mortacci tua, guadagno più di te, sono più ricca di te, ti pare che devo rubare io a te?’”.

            Una storia che racconta perfettamente il carattere impulsivo e imprevedibile di Cassano e il rapporto fraterno con Totti, fatto di battibecchi, risate e amicizia vera. Alla fine, proprio Totti ha chiuso il siparietto con un sorriso: “Dai, ci può stare, era l’incoscienza di quegli anni”.

            Un episodio che aggiunge l’ennesima pagina divertente al libro di aneddoti che circonda l’incredibile coppia Totti-Cassano, e che dimostra quanto i due, nonostante le divergenze e le follie, siano rimasti legati nel tempo.

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              Maradona, svolta nel processo sulla morte: “In camera nessuna attrezzatura medica”

              Gli agenti che intervennero nella casa del “Diez” rivelano che nella stanza non c’erano né strumenti sanitari né un letto ospedaliero. Il team medico rischia fino a 25 anni di carcere.

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                Il caso legato alla morte di Diego Armando Maradona torna a scuotere l’Argentina. A distanza di oltre tre anni dalla scomparsa del fuoriclasse, avvenuta il 25 novembre 2020, nuove testimonianze rilasciate in aula rischiano di cambiare il corso del processo. Il “Pibe de Oro” si trovava nella sua casa di Tigre, dove stava seguendo un percorso di ospedalizzazione domiciliare dopo un intervento chirurgico alla testa. Ma, secondo quanto emerso dalle deposizioni degli agenti di polizia arrivati sul posto, quella casa era tutto tranne che un ambiente attrezzato per un paziente così fragile.

                Il vice commissario Lucas Farias, intervenuto quel giorno, ha raccontato dettagli scioccanti: “Non ho visto strumenti medici nella stanza. Non c’era alcun siero, nessun defibrillatore, e il letto era un normale materasso, non certo un letto ospedaliero”. Parole pesanti, che aprono scenari inquietanti su una gestione sanitaria approssimativa, se non addirittura disastrosa, delle condizioni del campione argentino. E le parole di Farias non sono isolate: anche altri colleghi hanno confermato la totale assenza di dispositivi salvavita o di attrezzature adeguate per un’assistenza domiciliare professionale.

                Ora, queste dichiarazioni rischiano di aggravare la posizione delle otto persone sotto accusa, tra cui medici, infermieri e coordinatori sanitari. Secondo l’accusa, il team avrebbe abbandonato Maradona a se stesso, non predisponendo la sorveglianza e la cura che le sue condizioni avrebbero richiesto dopo l’operazione. Se giudicati colpevoli, rischiano pene severissime: da un minimo di 8 fino a 25 anni di carcere, così come previsto dalla legislazione argentina per l’ipotesi di “omicidio con dolo eventuale”.

                Il processo si trova ora in una fase delicata. Dopo che l’11 marzo scorso era stata proiettata in aula l’immagine del cadavere di Maradona – uno scatto che aveva lasciato l’aula sotto shock – l’attenzione si concentra sulle responsabilità del personale sanitario. La difesa, dal canto suo, ha sempre sostenuto che la situazione clinica di Diego fosse imprevedibile e che il decesso non poteva essere evitato. Ma il racconto dei poliziotti cambia l’equilibrio delle prove, ponendo nuove e pesanti ombre sulla qualità delle cure prestate al “Diez”.

                Maradona, che era considerato un paziente ad alto rischio, avrebbe dovuto ricevere assistenza continuativa e apparecchiature adeguate. E invece, secondo le testimonianze più recenti, nella stanza dove morì non c’era nulla di tutto questo. Una negligenza grave che, se confermata, potrebbe ribaltare le sorti del processo e aggiungere un ulteriore capitolo amaro alla leggenda di uno dei calciatori più amati della storia.

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