Sport
Vola Alessandro vola, il portiere che para con un braccio solo
La storia di Alessandro Pighi ci racconta di una infinita passione per il calcio e di tanta forza di volontà.

La storia di Alessandro Pighi ci racconta di una infinita passione per il calcio e di tanta forza di volontà. Eh sì perché Alessandro dieci anni fa mentre svolgeva il suo lavoro di giardiniere, toccò i cavi sbagliati e venne colpito da una scarica elettrica da 18 mila volt. Risultato: braccio destro amputato e vita salva per miracolo. Bene si ricomincia, si sarà detto. Quasi da zero.
La vita non è finita con l’amputazione
Con una grande determinazione Alessandro è ritornato alla vita e alla sua passione: il calcio. Era portiere nella squadra del ASD Valdadige che per alcuni anni lo ha escluso da quel ruolo per farlo giocare come difensore. Fino a quando lui con tenacia e tanto allenamento è ruiscito a rientrare nel suo ruolo come riserva della riserva. Ossia il terzo portiere. Intanto faceva esperienza nella Nazionale di calcio amputati. “La vita non è finita con l’amputazione, continua se ci credi“, dice.
La domenica del miracolo
Lui ci ha sempre creduto e il destino lo ha premiato. Il caso ha voluto che in una domenica in cui i due portieri della Valdadige non erano indisponibili in porta ci fosse lui in una partita importante contro la Polisportiva La Vetta di Domegliara, che si stava giocando il primato in classifica nel campionato di terza categoria. Il mister ha pensato a lui. In fondo sia con la nazionale sia negli allenamenti ha sempre continuato a parare il parabile. Lo chiama e gli affida il ruolo. “Oggi te la giochi tu tra i pali“, gli ha detto. E lui senza un minimo di emozione è sceso in campo consapevole di poter fare l’impossibile per non prendere gol.
E come è finita?
Alla grande. Come poteva esser diversamente con la grinta che si ritrova.
“Certo perdere un braccio non è uno scherzo. Nella tua rinascita ci devi credere e soprattutto devi fregartene dei giudizi degli altri, di chi ti guarda con pietà“. La partita è finita a reti inviolate. E lui a 3 minuti dalla fine è riuscito anche a fare un miracolo: parare una punizione dal limite diretta all’incrocio dei pali che spiega così. “Ho visto quel missile partire, ho chiuso gli occhi e mi sono buttato. Ho tolto la palla dal sette ma mi sono anche schiantato contro il palo. Infatti ho un male allo sterno che quasi fatico a respirare. Ma che felicità ragazzi”. Alla fine dell’incontro oltre a quelli della sua squadra ha ricevuto i complimenti e gli applausi anche dei giocatori e dei dirigenti della squadra avversaria. Oltre che gli applausi degli spalti. Una vicinanza sincera. “Credo sia stata la giornata più emozionante della mia vita”.
Cosa si può dire ai ragazzi che vogliono praticare uno sport con la tua disabilità?
“Ma che domanda: è ovvio di non mollare mai di fronte alle difficoltà. Di continuare a credere nelle proprie capacità, di non scoraggiarsi. Ma soprattutto di aprirsi agli altri e a tutte le esperienze che si possono fare a tu per tu con la nostra disabilità. La vuol sapere una cosa? Mi ha chiamato una società per chiedermi se voglio provare il sitting volley, la pallavolo paraolimpica. Ci ho pensato un giorno e gli ho risposto: perché no?”.
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Calcio
Di Livio e il segreto su Byron Moreno: “Lo insultai di brutto. E lo rifarei”
Ventitré anni dopo Italia-Corea del Sud, l’ex “Soldatino” confessa le parole dette all’arbitro dello scandalo: un mix esplosivo di rabbia, insulti e consapevolezza. Perché in campo, quel giorno, nessuno aveva dubbi.

Certe ingiustizie non invecchiano. Restano lì, in agguato dietro ogni replay, ogni “se”, ogni birra davanti a una partita dei Mondiali. E per Angelo Di Livio, 58 anni, ex motorino instancabile della nazionale azzurra, il 18 giugno 2002 non è mai davvero finito. Quel giorno, a Daejeon, in Corea del Sud, l’Italia venne eliminata ai supplementari da un arbitraggio che aveva più buchi di un colapasta, firmato Byron Moreno. Ora, passati più di vent’anni, Di Livio si toglie un sassolino grande come un macigno: “Lo insultai di brutto. Figlio di putt*, cogli***, mer**. E lo rifarei”.**
L’occasione per la confessione è un’intervista alla Gazzetta dello Sport, dove l’ex juventino torna su uno dei momenti più amari della storia recente del calcio italiano. “Tanto sapevo che non poteva cacciarmi, aveva appena espulso Totti. Vennero anche Gattuso, Vieri, Maldini. Eravamo fuori di noi, e a ragione”.
Quel giorno è entrato nell’album nero della nostra memoria collettiva. Un fuorigioco inesistente fischiato a Tommasi che stava per segnare il golden gol. Un’espulsione grottesca a Francesco Totti per una simulazione immaginaria. Falli ignorati, cartellini usati come coltelli. Una gestione dell’incontro che sembrava scritta da una penna cinica e truccata. E alla fine il colpo di grazia: il gol decisivo di Ahn Jung-hwan, attaccante coreano in forza al Perugia, poi subito licenziato dal patron Gaucci per “lesa maestà”.
“Doveva andare avanti la Corea, era tutto programmato”, dice Di Livio. E in effetti, dopo di noi, toccò alla Spagna. Sempre loro, sempre lo stesso copione: gol annullati, arbitri bendati, sudore e sangue buttati.
Ma il calcio, ogni tanto, sa essere giusto con ritardo. Il tempo ha restituito a Moreno la fama che meritava, ma non quella che cercava: espulso dalla federazione del suo Paese, accusato di combine, evasore fiscale. E, soprattutto, arrestato a New York con chili di cocaina addosso. Un narcotrafficante con il fischietto in tasca. Una carriera da arbitro finita come una sceneggiatura tarantiniana. “Quando l’hanno arrestato? Nessuna sorpresa. L’avevo capito subito che non era un professionista”.
O forse lo era. Solo in un altro senso. Di Livio cita Regalo di Natale, capolavoro di Pupi Avati, per spiegare quella sensazione: “Era un professionista, vero?”, chiede Abatantuono dopo esser stato fregato al tavolo da poker. Sì, risponde Cavina con lo sguardo. Era uno bravo. Solo che lavorava per gli altri.
Ecco: Byron Moreno era così. Un arbitro bravo a fare quello che doveva fare. Peccato che quello che doveva fare fosse sbagliato. Maledettamente, scandalosamente sbagliato.
Calcio
Francesco Totti, la Procura chiede l’archiviazione per l’Iva non dichiarata
La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del procedimento che vedeva Francesco Totti indagato per non aver dichiarato l’Iva su alcune attività pubblicitarie. Il “debito”, inizialmente di poche migliaia di euro, era lievitato fino a 900 mila euro con sanzioni e interessi. Ora l’ex calciatore ha saldato tutto.

Francesco Totti non dovrà affrontare un processo per omessa dichiarazione dell’Iva. La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’indagine che coinvolgeva l’ex numero 10 della Roma, dopo che lo stesso ha provveduto a saldare il suo debito con il Fisco. Il procedimento, coordinato dai pm Stefano Pesci e Vincenzo Barba, si basava su una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza, che aveva analizzato i movimenti economici legati ad alcune apparizioni pubblicitarie dell’ex calciatore.
Secondo quanto emerso, Totti avrebbe svolto attività promozionali non occasionali, ma senza aprire una partita Iva dedicata. Un’irregolarità che, pur partendo da un importo iniziale piuttosto contenuto, è andata crescendo nel tempo: tra sanzioni e interessi, il debito con l’Erario è arrivato a sfiorare i 900 mila euro. Una cifra importante, maturata nel corso di circa cinque anni.
Nonostante l’importo lievitato, la decisione della Procura di avanzare la richiesta di archiviazione è legata alla condotta dell’ex capitano giallorosso, che ha scelto di regolarizzare la propria posizione fiscale. Il pagamento del debito ha avuto un peso determinante, dimostrando la volontà di Totti di chiudere la vicenda con il Fisco.
L’accusa era quella di omessa dichiarazione dell’Iva, un reato tributario che scatta quando un soggetto con obbligo fiscale non presenta le dichiarazioni annuali. In questo caso, però, i magistrati hanno ritenuto che l’interesse punitivo dello Stato fosse venuto meno, viste le somme integralmente versate.
Nessuna battaglia legale, dunque, per Totti. Una vicenda che si chiude con un conto saldato, ma anche con l’ennesimo riflettore acceso sulla gestione fiscale dei personaggi pubblici. Un tema sempre delicato, soprattutto quando coinvolge volti tanto noti e amati dal grande pubblico. Anche perché, nel bene o nel male, il Pupone fa sempre notizia.
Sport
Il sogno nel cassetto di Federica Brignone? Giocare un set contro Jannik Sinner!
La sciatrice Federica Brignone, ospite di Che Tempo Che Fa, ha rivelato un sogno segreto: sfidare Jannik Sinner a tennis. Tra battute e autoironia, la campionessa di sci ha ammesso di non avere grandi speranze con la racchetta in mano, ma di essere curiosa di vedere Sinner sugli sci.

La fortissima atleta azzurra ha deciso di svelare un desiderio che teneva nascosto nel cassetto: giocare una partita a tennis contro il numero uno della racchetta, Jannik Sinner. Ospite di Che Tempo Che Fa su Nove, la sciatrice italiana ha lanciato la proposta con il sorriso sulle labbra: “Mi piacerebbe giocare con lui… ma c’è un problema! Io faccio schifo a tennis e non vedrei neanche la pallina!”.
Una sfida incrociata: la vedremo mai?
Insomma, Brignone è consapevole delle sue scarse doti tennistiche, ma il desiderio di confrontarsi con un talento come Sinner resta. E chi lo sa, magari il campione altoatesino potrebbe ricambiare la sfida sulle piste da sci… E e se da parte di Federica, spirito competitivo a parte, ci fosse un interesse nei confronti di Jannik di un altro tipo?!? Tutto può essere…
Sinner sugli sci? La Brignone approva!
Se a tennis la partita sarebbe a senso unico, sugli sci le cose cambiano. Brignone ha rivelato che Sinner, prima di dedicarsi completamente alla racchetta, aveva già dimostrato di essere un fenomeno sugli sci. “È stato campione del Trofeo Topolino, che è come essere campione del mondo Under 14!” ha spiegato. Insomma, Jannik non è esattamente un principiante sulla neve… Quindi, se la sfida sulla terra rossa sarebbe un massacro, una gara di slalom potrebbe essere più equilibrata. Chissà, magari un giorno vedremo davvero i due scambiarsi sport per un giorno!
Una confessione all’insegna dell’ironia
La campionessa azzurra ha raccontato tutto con il suo solito spirito leggero e autoironico, conquistando il pubblico e strappando qualche risata. Probabilmente anche lei “vittima” di quell’atmosfera rilassata e complice che i tanti ospiti del talk condotto da Fazio hanno avuto modo di sperimentare negli anni. “Non ho mai osato dirglielo, ma ora lo sa tutta Italia!” ha scherzato. E chissà, magari Jannik Sinner avrà sentito l’invito e sarà pronto ad accettare la sfida… a patto che Brignone lo aspetti al varco sulle piste!
Lo sport unisce, anche con un sorriso
In definitva… vedremo Brignone e Sinner su un campo da tennis o su una pista da sci? Un’idea che fa naturalmente sorridere ma che dimostra quanto lo sport possa unire mondi diversi. Anche se la partita a tennis potrebbe finire in pochi minuti, la curiosità di vedere Sinner sugli sci rimane. E se un giorno accadesse davvero, sarebbe uno spettacolo memorabile.
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