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Sonar: tra suoni e visioni

Elvis è vivo… e lotta insieme a noi

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    Se non esistessero le leggende sui musicisti, la storia della musica rock si ridurrebbe ad un periodico elenco di uscite discografiche, intervallate ogni tanto da morti improvvise, per lo più di ventisettenni (per chi fosse interessato, cerchi su Google il “club dei 27”).

    La morte rende eterni

    A chi questa musica l’ha vissuta sulla propria pelle, legandoci i momenti più esaltanti e divertenti della sua vita (come il sottoscritto), piace invece cullarsi nell’idea che – per esempio – Jim Morrison dei Doors stia bellamente sorseggiando un daiquiri su una spiaggia caraibica, magari riservando una sdraio accanto a lui per qualche amico. La morte delle rockstar è certamente l’argomento sul quale si fondano la maggior parte delle storie (inverosimili) del rock. Il motivo è semplice: perché ci permettono di credere che quella storia straordinaria non possa dirsi interrotta per sempre.

    Elvis numero uno… anche in materia di follie

    Se esistesse una classifica di fake news del rock’n’roll (e magari esiste pure…) a Elvis “The King” Presley andrebbe senza dubbio il primato. Notizie confezionate per addolcire lo strazio di quel maledetto 16 agosto 1977, in cui il cadavere del re del rock’n’roll fu trovato senza vita nella sua tenuta di Graceland. Io quel giorno me lo ricordo bene: mi trovavo sulla passeggiata di Lavagna (GE) in vacanza, apprendendo la funesta notizia dal mio inseparabile radioregistratore Philips. Un vero colpo al cuore, anche perchè ero cresciuto con il culto di Presley e del rock’n’roll in generale (Chuck Berry, Little Richard, Bill Haley, Gene Vincent, Eddie Cochran e altri…) grazie a mio padre, da giovane un perfetto teddy boy della riviera di Levante!

    Falsa morte per permettergli una seconda identità segreta

    La teoria più accreditata è quella che il suo entourage abbia imesso in scena la morte del musicista per permettergli di diventare definitivamente un agente della DEA. The King possedeva persino il tesserino identificativo del dipartimento, regalatogli dal presidente Nixon in persona. Una leggenda talmente diffusa che la piattaforma Netflix ha deciso di realizzarne una serie animata, Agent Elvis, doppiata tra gli altri dalla compianta figlia Priscilla e da Matthew McConaughey.

    Via dalla pazza folla

    Un’altra tesi, certamente meno macchinosa, è che Elvis sia semplicemente fuggito dall’inferno della fama e dei riflettori, utilizzando l’identità di Jon Burrows, un misterioso personaggio partito da Memphis per l’Argentina proprio pochi giorni dopo la morte di Elvis…

    Sull’autostrada

    Altri ancora sostengono che il Re sia rimasto nascosto per decenni nella sua Graceland o, ancora, che abbia preso l’identità del predicatore Bob Joyce o, infine, che sia tornato a dedicarsi al suo primo mestiere prima di diventare famoso: il camionista. Se in autostrada veniste superati da un tir con alla guida uno che ci assomiglia… siete avvertiti! Anche se oggi Elvis avrebbe 88 anni: difficile che gli abbiao rinnovato la patente di recente…

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      Creuza de ma, capolavoro di De Andrè, esce in versione napoletana

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        Un grande intenditore di musica come l’ex leader dei Talking Heads lo definì «il disco più importante della world music. E se l’ha detto David Byrne c’è da starne sicuri. Sicuramente “il più coraggioso”, come riconosce la stessa Dori Ghezzi, partendo proprio da una scelta, anzi da una serie di scelte insensate e geniali, unico modo per far nascere i capolavori.

        Con il fondamentale aiuto di Mauro Pagani

        Parlo di Crêuza de mä, disco di Fabrizio De Andrè scritto a 4 mani con l’ex PFM Mauro Pagani. Eh sì… perchè va dato a Cesare il suo: Pagani, raffinato musicista senza frontiere, tecniche e geografiche. E’ lui a compilare tutti gli spartiti e gli arrangiamenti delle sette canzoni dell’album, suonando buona parte degli strumenti e sovrapponendo la voce nei cori, saccheggiando suoni, ritmi, strumenti e melodie dell’Africa e del vcino Oriente mediterraneo.

        Il gruppo dei napoletani

        A 30 anni da quella pietra miliare alcuni musicisti reinterpretano le canzoni del celebre disco del cantautore genovese scomparso nel 1999, riproponendole in un altro idioma: quello napoletano. Sono Teresa De Sio, Francesco Di Bella, Gerardo Balestrieri, Enzo Gragnaniello con Mimmo Maglionico, Maldestro, Nando Citarella e Nuova Compagnia di Canto Popolare. Protagonisti di questa nuova versione dell’opera che, in origine, è scritta e cantata in genovese antico. Il titolo è “’Na strada ’mmiez ’o mare – Napoli per Fabrizio De André”.

        Sul palco nel 2015, ora in cd

        Arriva a più di trent’anni dall’uscita dell’originale, nascendo da un’operazione datata quasi un decennio fa. L’intero album è stato tradotto in napoletano per due concerti che si tennero nel cortile del Maschio Angioino il 14 e il 15 settembre del 2015. Ora, in occasione del quarantennale dell’uscita discografica dell’album di Faber (e di Pagani…), ciò che venne registrato a Napoli in quell’occasione targata 2015 viene pubblicato su CD da Nota.

        L’intuizione di teresa De Sio

        L’intuizione di tradurre in napoletano Crêuza de mä, è stata della cantautrice napoletana Teresa De Sio, autrice di album come Sulla terra sulla luna (1980), Ombre rosse (1991) e dei più recenti Tutto cambia (2011) e Teresa canta Pino (2017). Proprio nel sopracitato Tutto cambia, la cantante aveva ripreso Crêuza de mä traducendola in napoletano. Assecondando quella intuizione, lo scrittore e giornalista musicale Annino La Posta ha avuto la brillante idea di estendere quel processo linguistico all’intera tracklist del disco di Fabrizio De Andrè.

        Un ricordo anche per Dario Zigiotto

        Un’operazione, quella di traduzione dal dialetto ligure a quello napoletano, che ha fatto emergere, prima di tutto, quanto questi due vernacoli siano compatibili tra loro. Dimostrando anche come l’arricchimento musicale conferito dal napoletano alla fonetica delle canzoni rappresenti un plus notevole, senza nulla togliere ai brani originali. L’idea è stata poi condivisa con il recentemente scomparso Dario Zigiotto (eravamo amici e di lui conservo un ricordo dolcissimo, persona garbata ed estremamente competente), collaboratore di artisti come Enzo Jannacci, Ivano Fossati e dello stesso De André, nonché organizzatore di eventi e di festival molto importanti, come quello di Villa Arconati a Castellazzo di Bollate (MI). Coinvolta naturalmente anche la Fondazione De André (la cui Presidente, Dori Ghezzi, si è resa disponibile come consulente del progetto) e il Club Tenco.

        Tutti i brani

        1 – Teresa De Sio – ’Na strada ’mmiezz’o mare (Crêuza de mä)


        2 – Francesco Di Bella – Jamina (Jamìn-a)

        3 – Gerardo Balestrieri – Sidòne (Sidùn)

        
4 – Enzo Gragnaniello con Mimmo Maglionico – Sinan Capudan Pascià (Sinàn Capudàn Pascià)


        5 – Maldestro – ’A pittima (Â pittima)

        
6 – Nando Citarella – ’A dummeneca (Â duménega)

        
7 – Fausta Vetere e Corrado Sfogli – Nccp – Da chella riva (D’ä mê riva)

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          Sonar: tra suoni e visioni

          Reunion Sex Pistols senza Lydon: ma perchè?!?

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            L’occasione per tornare su un palco con la (quasi) formazione originale è una raccolta fondi per la Bush Hall, storica venue di West London. Parla il batterista Paul Cook: «Hanno bisogno di soldi, hanno bisogno del nostro supporto. Sarebbe una vergogna se chiudesse». In questo modo, con grande sorpresa generale, i Sex Pistols hanno annunciato una reunion per due concerti in favore della storica, piccola sala concerti situaata a West London (circa 400 persone).

            Una incolmabile mancanza

            A differenza dell’ultimo tour (quello del 2007-2008), mancherà John Lydon. Al suo posto – al fianco di Paul Cook, Glen Matlock e Steve Jones – ci sarà Frank Carter, già vocalist dei Gallows, Pure Love e Frank Carter and the Rattlesnakes. Rispetto ai tre componenti originali della band, che si avvicinano inesorabilmente ai 70, Carter è molto più giovane, avendo da poco compiuto 40 anni.

            Lydon mi ha fatto risparmiare una spesa non preventivata

            Se la formazione fosse stala al completo… ci avrei fatto un pensierino, non ho vergogna ad ammetterlo. Con Carter al posto di Lydon… grazie, anche no! Peraltro non si conoscono i motivi della defezione di John Lydon alias Johnny Rotten. Lo storico frontman, 67 anni, prosegue la sua attività nei Public Image Ltd., con la recente pubblicazione dell’album End Of World, il primo lavoro uscito dopo la scomparsa di sua moglie, Nora Forster, venuta a mancare lo scorso 5 aprile, a cui la band britannica ha dedicato, oltre che l’intero album, anche il primo singolo, Hawaii, presentato anche alle selezioni irlandesi per l’ultima edizione dell’Eurovision Song Contest.

            Un disco seminale

            Sono quelle del 13 e 14 agosto le date prescelte per i due show che rivedrà i Pistols riuniti. La scaletta riguarderà interamente l’unico album in studio, Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols, sicuramente una delle pietre miliari del punk e del rock in generale.

            I locali rappresentano la linfa vitale

            Paul Cook ha dichiarato: «Lo faremo per beneficenza, hanno bisogno del nostro supporto, hanno bisogno di soldi, e questa ci sembrava una buona idea per non farli rimanere in rosso. Sono cresciuto qui, è il mio locale. Sarebbe una vergogna vederlo scomparire». Al discorso di aggiunge Matlock: «I locali più piccoli sono la linfa vitale della nuova musica. È in questi luoghi intimi che i talenti più grezzi hanno un’occasione per brillare, dove le band possono davvero relazionarsi con in loro pubblico. È dove il vero spirito della musica live avviene».

            I Pistols senza Lydon sono come… Stanlio senza Ollio, la pizza senza le acciughe, una strepitosa giornata di sole trascorsa in ufficio, un film di Nanni Moretti senza Margherita Buy, una giornata intera senza dita nel naso (gesto estremamente “punk”), un discorso di Matteo Salvini senza neanche un… “prima gli italiani”.

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              Separati alla nascita: le somiglianze che non t’aspetti

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                Quasi cloni. Perché, se è vero che tutti o quasi abbiamo almeno un sosia nel mondo, nessuno fa eccezione. Andare a caccia di somiglianze nel mondo delle star, è molto divertente. Anche se per qualcuno, come il sottoscritto, si trasforma in una sorta di mania sottilmente ossessionante. per esempio, avete mai notato quanto Charlene di Monaco e l’attrice Charlize Theron (non solo nel nome) si somigliano? Dal colore di capelli e occhi all’ovale del viso, sembrano davvero sorelle. E che dire del Principe Harry e del cantante Ed Sheeran? Tali e quali… meglio del popolare tv show condotto da Carlo Conti. Anche perchè nel programma Rai ci si mettono di mezzo abili truccatori… nella vita no, tutto è legato alla natualità dei cromosomi.

                Divertente e contagioso

                Un esercizio – quello dei “separati alla nascita” – che può diventare contagioso e riservare esiti sorprendenti ed inaspettati. E il bello del gioco delle somiglianze è che tutti possono giocarvi e tutti, con un improvviso colpo di scena, possono diventarne protagonisti. In questo post ne ho selezionati alcuni per LaCity Mag! Partiamo da Ray Shulman, il più giovane dei tre fratelli Shulman che facevano parte del gruppo prog rock dei Gentle Giant, che appare uguale a James Taylor, coppola compresa!

                Ad ognuno il suo sosia

                Nella gallery in basso trovate qualche esempio fra quelli che recentemente mi sono saltati agli occhi. Come Anthony Kiedis, leades dei pirotecnici Red Hot Chili Peppers e il centrocampista ex milanista Sandro Tonali; Jason Newsted, ex bassista dei Metallica (in forza alla band dal 1986 al 2001) e il giornalista- conduttore tv romano (ora ridotto al rango di “prezzemolino”) Alessandro Cecchi Paone; il “grande vecchio” del blues bianco John Mayall e Peppino Di Capri, cantautore partenopeo che ha fattivamente contribuito alla diffusione delle bollicine francesi nel nostro Paese: cameriere… Champagne!

                Nota a parte per il presidente Mattarella

                Da bambino ero innamorato del tricolore, soprattutto di quello che mio padre mi regalò alla vigilia della finale dei Mondiali Italia-Brasile del 1970, sperando di potermi poi portare con lui per le strade del quartiere a festeggiare, dopo il fischio finale. La realizzò con le sue mani, utilizzando un foglio da disegno, degli acquarelli e un bastoncino di legno come asta. Sappiamo tutti come andò. Successivamente, in età adulta, raramente mi è ricapitato di sentirmi veramente italiano, nonostante (o forse anche per colpa di) quella famosa canzone di Toto Cutugno. Spessissimo, lo ammetto, ho ceduto – non senza dolore – alla tentazione di vergognarmene amaramente. Una cosa su tutte, però, mi ha sempre riconciliato con la mia nazionalità d’origine: LA SERIETÀ, LO SPESSORE E LA RETTITUDINE DEL PRESIDENTE MATTARELLA che, secondo solo all’indimenticabile Sandro Pertini, ha incarnato perfettamente quel ruolo. E di questo, per una volta da italiano vero, mi sento di ringraziarlo.

                La somiglianza con l’inventore di una strumento epocale

                Notate la spiccata somiglianza – anche se con una pettinatura meno d’ordinanza – con Robert Arthur Moog, ingegnere, imprenditore ed inventore di uno dei primi sintetizzatori musicali a tastiera nel 1963, utilizzando le sonorità del Theremin. Dieci anni prima aveva visto in funzione un sequencer elettromeccanico, il Wall of Sound, costruito da Raymond Scott, probabilmente il primo compositore-inventore di strumenti e musica elettronica. I contatti con Scott, di ventisei anni più anziano, furono professionalmente importanti per Moog e, a partire dalla fine degli anni sessanta, i sintetizzatori di Moog divennero i più apprezzati e il nome stesso “Moog” si tramutò in sinonimo di sintetizzatore. A lui devono dire grazie moltissimi musicisti, a partire da Keith Emerson e Rick Wakeman, Walter Carlos (poi Wendy, dopo il cambio di sesso, che aiutò Moog nella progettazione), ovviamente i Tangerine Dream e i Kraftwork… ma anche i Beatles, The Moody Blues e l’immenso Sun Ra.

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