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Fabrizio Corona come Bombolino e l’Ottavo Re di Roma: stessi complotti, stesso trash sul Papa. Ma almeno loro tacciono, mentre lui rilancia…

Le immagini di Papa Francesco dal balcone del Vaticano hanno smentito settimane di teorie deliranti. Ma Fabrizio Corona, pur di non ammettere di aver venduto una bufala, prova a rilanciare. Siamo alla negazione della realtà in diretta social, condita da complottismo spicciolo e un’arroganza che ormai è diventata marchio di fabbrica.

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    “Se nei prossimi cinque mesi uscirà un video in cui il Papa parla dal vivo, io mi ritiro a vita privata”. Parola di Fabrizio Corona, professione: venditore seriale di verità alternative, esperto di tutto e garante di nulla. Il video c’è. Il Papa ha parlato, in carne, ossa e respiro visibile. Ma il ritiro alla vita privata? Nemmeno sfiorato. Anzi: dopo essersi arrampicato su una fake news che avrebbe fatto arrossire pure QAnon, l’ex re dei paparazzi decide di rilanciare. “Siete sicuri che sia davvero lui?”

    Benvenuti nel regno del sospetto permanente, dove la realtà non conta nulla e la coerenza è un fastidio. Dove la frase “mi sbagliavo” è vietata per regolamento, e ogni smentita diventa la prova definitiva del complotto. Il tutto, ovviamente, trasmesso in diretta social con il consueto tono apocalittico da fine impero e il solito gusto per l’eccesso. Che importa se l’intero pianeta ha visto Francesco affacciarsi dalla finestra del Palazzo Apostolico per parlare con voce chiara e salda? Per Corona, nulla è reale se non passa dal suo account.

    Il punto, però, non è più solo Corona. È il meccanismo. È il modo in cui un personaggio in cerca costante d’autore riesce a ritagliarsi un ruolo di “nuovo informatore”, vendendo scoop inesistenti come se fossero oro colato. Criptovalute miracolose, piani finanziari segreti, nomi di vip che “spariranno” all’improvviso e ora persino il decesso di un Papa: tutto fa brodo. L’importante è mantenere il feed caldo, il pubblico agitato e il mito personale alimentato. Se poi la verità viene disintegrata nel processo, poco male: è solo un effetto collaterale.

    Corona, però, non è un caso isolato. È solo il sintomo più chiassoso di un fenomeno ben più ampio: quello di un’informazione parallela che punta a sostituire i media tradizionali non con maggiore rigore, ma con maggiore rumore. È la stessa dinamica per cui chiunque abbia un canale, un microfono e una manciata di follower può sentirsi autorizzato a “fare informazione”, senza fonti, senza verifica, senza etica. Perché “voi siete i media”, come recita il mantra di Elon Musk. Ma a quanto pare, con nessuno dei doveri che i media veri si assumono.

    Le immagini del Pontefice in diretta da piazza San Pietro avrebbero dovuto chiudere la questione. Invece l’hanno solo aperta un altro po’. Perché la realtà non basta più. E se Bergoglio compare sorridente e benedice i fedeli? “È un ologramma”. Se risponde con voce ferma alle domande? “È un sosia ben addestrato”. Se continua a parlare nei giorni successivi? “È un deepfake in tempo reale”. Quando si è deciso che nulla è vero, allora tutto può essere inventato.

    Intanto, chi aveva cavalcato la teoria più folle — la morte segreta del Papa — tace. I due influencer complottisti Bombolino e l’Ottavo Re di Roma, già protagonisti dell’irruzione al Policlinico Gemelli, hanno preferito sparire. Fabrizio Corona no. Lui rilancia, con la stessa sicurezza con cui anni fa garantiva investimenti sicuri in criptovalute-fantasma e faceva da broker spirituale tra galera e red carpet. Il suo silenzio sarebbe stato un sollievo, invece arriva il bis.

    Perché a Fabrizio non importa dimostrare di avere ragione. Gli basta che se ne parli. L’autorevolezza non gli interessa. Gli basta l’audience. Ed è proprio questo il punto debole di un sistema che si regge sull’eco, non sui fatti.

    E quindi, alla domanda “Ma Corona si scuserà mai?” la risposta è no. Perché chiedere scusa è una forma di debolezza che chi ha costruito la propria identità sull’aggressione e sul vittimismo non può permettersi. Per lui vale solo una regola: mai fare marcia indietro. Anche se la strada porta dritto contro un muro.

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